mercoledì 1 luglio 2015

Pasquale Attard, "Il tuo regno viene" (Ed. Thule)

di Antonio Martorana


Se è vero che, come insegna Gérard Genette, a definire la specificità dello statuto di un testo letterario ed i confini della sua circolarità ermeneutica concorre il complesso di fattori paratestuali che lo arricchiscono, volendo adottare il paradigma teorico da lui proposto alla lettura della silloge poetica di Pasquale Attard, Il tuo regno viene (Palermo, Thule 2014) bisogna partire dal contributo, tutt’altro che irrilevante, offerto all'orizzonte interpretativo di quest'opera da vari parametri apparentemente estrinseci alla stessa. Vi riscontriamo, infatti, e provvederemo ad effettuare un analisi tassonomica, un "insieme eteroclito" di elementi accessori ("segnali" li definisce Genette) che contornano il testo e precisano l'istanza autoriale, anche sotto forma di commento velato, estendendo l'orizzonte interpretativo dell'opera. Tocchiamo qui quella che è la sua"dimensione pragmatica", il suo materializzarsi in un manufatto cartaceo, che ha un preciso scopo, quello di agire sul lettore, coinvolgendo sul messaggio che essa contiene.
Nell'inventario degli elementi paratestuali della silloge citata figurano:
il titolo;
l'illustrazione di copertina;
la collocazione nell’ambito di una collana poetica;
il logo della Casa Editrice;
la preparazione allografa (a firma di Tommaso Romano);
la nota autografa;
la dedica a Sua Eminenza Gianfranco Ravasi (p.97);
il profilo biografico dell'autore (sul retro della copertina)
La citata produzione verbale (autografe e allografe) e non verbali determinano l'aria paratestuale, quella che Genette chiama soglia, il terreno di transizione, (o meglio di "transazione", precisa lo studioso), tra il dentro e fuori.  Se vogliamo definire la specificità ontologica del testo attardiano, non possiamo fare a meno di attraversare quella soglia, per recuperare tasselli necessari al completamento del mosaico. Ove rinunciassimo, optando per una lettura "minimalista" del testo, ci troveremmo in presenza di uno statuto denudato dagli abiti confezionati dalla sartoria autoriale. Fuor di metafora, la sfrondatura comporterebbe un restringimento dell'orizzonte interpretativo con evidente ricaduta negativa sotto il profilo pragmatico e funzionale. Non dimentichiamoci, che Genette afferma con estrema sicurezza «che non esiste e non è mai esistito un testo senza paratesto. Paradossalmente, esistono invece, sia pure accidentalmente, dei paratesti senza testo, come ad esempio nel corso di opere scomparse o abortite» (G.Genette, Soglie. I dintorni del testo, a cura di Camilla Maria Cederna, tr. it, Torino Einaudi, 1989, pp. 5-6).
Colpisce la perfetta interrelazione tra il titolo, dal sapore biblico, e la produzione iconica di copertina, consistente nel pannello maiolicato con l'immagine di un angelo, tratta da un’incisione raffigurante l'Apocalisse (10. 1-9). L'angelo ha qui la funzione di "commento ufficioso" a quanto il titolo ci dice, coinvolgendo il lettore in una visione escatologica del mondo.
 Prima di procedere alla lettura dei versi, il lettore intuisce di avere tra le mani una creazione poetica pervasa dal ministero avvolgente dell’Oltranza. Quando entrerà in medias res potrà percorrere la vicenda personale dell'autore, costellata da occorrenze fattuali rivelatesi fonte spesso di delusioni e di amarezza , ma supportata sempre da una fede che lo fa sentire investito dal compito, per usare un'espressione di Paul Claudel , di «ricevere l’essere e restituire l'eterno». Attingendo ai sacri testi il poeta coglie l'incanto del verbo emanante dal dettato di biblico:«dalle Scritture \ l'urlo giunge possente , come promesso ai Padri \ non si disperde niente». Così suona la seconda strofe di Parusia.
Possiamo vedere come in Attard l'investigazione ontologica della parola avviene all'interno di un percorso di nominazione-creazione. Il poeta è colui che nomina (nomen-numen) , colui che scandisce la bipolarità del destino dell'uomo: salvezza o dannazione: «anima senza Dio \ Satana è il tuo desio. \ Potere e perdizione, \ tormento, esaltazione, \ dissidio senza fine: \ nulla è tuo confine» (Alla foce, Dio).
Leggendo questi versi ci sembra di toccare quello che Claudel chiamava "metronomo interiore", per l'esattezza il cuore, l'organo che detta il ritmo di ogni evento.
È proprio il cuore a ricondurre tutti i momenti del racconto autobiografico contenuto nella silloge, alla verità profonda della Parola: «"Beati gli invitati \ al banchetto dell’Agnello" \ hai detto tu, Signore: \ verbo mai fu più bello » ( Il tuo Regno viene). Consideriamo adesso l’interrelazione sussistente tra i seguenti "segnali" paratestuali: la dedica a Sua Eminenza Gianfranco Ravasi nella lirica Parusia , la preparazione allografa a firma di Tommaso Romano, la collocazione del testo nell'ambito della Collana poetica Oltre il sole, diretta dallo stesso, il logo della Casa Editrice Thule. L’omaggio reso a Ravasi, oggi Cardinale di Ssanta Romana Chiesa, sottende, essendo l’illustre porporato il responsabile della politica culturale del Vaticano, la consapevolezza da parte di Attard, dell’attenzione con cui la Chiesa guarda al mondo dell’arte. Pensiamo soprattutto all’appello che Giovanni Paolo II rivolse agli artisti con la sua lettera del 4 aprile 1999, per la Pasqua di Resurrezione : «la vostra arte contribuisca all’affermarsi di una bellezza autentica che, quasi riverbero dello spirito di dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi al senso dell’eterno».
Doveva lasciare il segno quell’esortazione proferita dalle labbra di Sommo Pontefice affinché la creazione artistica sia adempimento di un dovere magistrale. L’esortazione assumeva il carattere di un cogente imperativo etico, tale da imporre alla coscienza dell’artista il riconoscimento che la «Bellezza è la vocazione a lui rivolta dal Creatore». Nella sua silloge poetica, illuminata dalla visione escatologica del mondo, Attard è in linea con il messaggio pontificio in base al quale ogni manifestazione artistica è una « via d’accesso alla realtà più profonda dell’uomo e del mondo. Come tale essa costituisce un approccio molto valido all’orizzonte della fede, in cui la vicenda umana trova la sua interpretazione compiuta».
Non sarà allora casuale il fatto che Attard abbia invitato a stendere la prefazione al suo testo proprio alla figura di intellettuale-artista, dotato di un carisma “oracolare”, più che di ogni altro “sente” dentro di sé il cogente imperativo etico wojtyliano, auspicando un profondo rinnovamento palingenetico grazie all’arte: Tommaso Romano. Le parole di quest’ultimo sono illuminanti nel cogliere « il senso di tutta la silloge, il regno di Dio che viene a congiungere i cieli e la terra, la vita che trionfa sulla menzogna, sulla morte, sull’odio, sulla violenza. Il Verbo ritorna Carne per una Verità fatta di Giustizia, di Amore, di Pace tanto lontana dagli slogans del nostro tempo di crisi, demoniaci, eppure auspicio che si fonda nel credere e nel meditare a realtà anche attraverso la sacra scrittura, attraverso la Parola , che, se accettata, redime e fa vivere, se respinta disperde nella morte. Tutto è scritto e i versi finali che invocano il Divino e Celeste Amore del Re Vero, Gesù, inondano il cuore del poeta ». E non è allora nemmeno casuale il fatto che la silloge di Attard si pregi del logo della prestigiosa e incredibilmente prolifica casa Editrice Thule, diretta da Tommaso Romano, e che sia contrassegnata dal numero 62, nell’ambito della Collana Oltre il sole (pagine di poesia a cura di Tommaso Romano). Sì può dire, metaforicamente, che è il sessantaduesimo vagone di un lungo treno che trasporta tanti tasselli di quel patrimonio immateriale che può salvare il mondo: la poesia.
Non è possibile prescindere poi, ai fini di una puntuale ricezione del messaggio di Attard, dalla nota introduttiva, produzione verbale autografa che, in poche battute, condensa il commento autoriale sul testo. Centrale è qui il motivo della coppia oppositiva luce-buio , che rende il travaglio di un percorso dove momenti di criticità esistenziale si alternano a fiduciose ripartenze.
Il racconto autobiografico è segnato, inizialmente, dall'insistenza quasi ossessiva sul tema della morte che già è fonte di turbamento in età preadolescenziale « Foglie morte! \ La morte che ancora indugia \ sui selciati delle strade \ lugubre, in quello scempio »(Foglie morte). Il contrasto ritorna né L’alba, dove la solarità di un paesaggio ridente si spegne nelle inquietanti ombre di lugubri immagini sepolcrali: « L’aria, \ nuova campagna del sole, \ soffiando la Vita, espande sul Tutto, \ la magia del calore. \ Nei camposanti, \ i morti, \ silenti ombre svestite del fango, \ richiudono le bare, \ senza svegliare nessuno ».
La morte diventa bersaglio di una risentita e virile apostrofe da parte del poeta, deciso a smascherare tutta la perfidia, ne Il calice della Vita: « Tra sorrisi \ che hanno il sapore \ della menzogna, \ tu, o Morte, \ aspetti nell’ombra \ che la coppa sia vuota, \ per venire col Sonno. \ Amaro calice della vita, io so \ che dovrò bere , \ sino all’ultima goccia, \ il veleno che tu mi porgi».
Una risentita considerazione sulla crudeltà della morte, rea di aver ghermito brutalmente una tenera e innocente creatura, è ancora in Piccolino: «Feroce morte \ il volo tuo ha spezzato».
La sensibilità inquieta del poeta, che pur registra momenti di serenità e di estasi contemplativa, tradisce talora la congettualità insanabile di una natura ribelle, attestata su posizioni di netto rifiuto nei confronti delle istituzioni e delle forme del vivere (matrimonio e divorzio, amore e vita, dolore e morte). È un rifiuto che culmina in un’agghiacciante dichiarazione: «io, \ sono contrario a me stesso» (Conflitto).
Sembrerebbe evincere da quelle sconsolate parole che il poeta si trovi sul punto di essere risucchiato dalle sabbie mobili del nichilismo, quando, improvvisamente, come era accaduto a Paolo sulla via di Damasco, la luce della trinaria Grazia deve averlo “risvegliato”: «Alfine risvegliato \ sul pianeta ritorno, \ dolce veleggio in seno \ al mare ormai placato»(Vertigine). Quel dolce veleggiare su distese marine serene è chiara allusione ad una rotta, che , al riparo da ogni tempesta, conduce direttamente a Dio.
Credo che una chiave di lettura della silloge di Attard possa essere trovata in un passo tratto dal libro Sotto il sole di satana di Geoges Bernanos: « La verità è che la vita è confusione e disordine solo per chi la contempla dal di fuori, perciò l’uomo superiore, per quanto alto lo porti il suo amore, è sempre a suo agio, e la sua vita non soffre più di vertigini non appena che egli abbia ricevuto i magnifici doni dello spirito».
Ad una condizione esistenziale che si proietta verso l’Assoluto, trovando il suo rispecchiamento emblematico nei Sacri Testi, corrisponde la polimetria di un pentagramma estremamente vario, che Franco Trifuoggi ha analizzato in tutte le sue sfaccettature in una bella recensione apparsa su Rassegna siciliana di Storia e Cultura, diretta da Tommaso Romano (settembre 2014 - aprile 2015).
Per il messaggio di trascendenza che veicolano, soffriranno certo i versi del nostro autore di origine maltese a restare segregati in una prigione di carta. Mi ricordano i Pesci rossi di Emilio Cecchi, che, chiusi nella palla di vetro, «s’erano portati dietro in prigione l’infinito» 

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