venerdì 17 luglio 2015

R.H. Benson, "Il baronetto vagabondo"

di Luca Fumagalli

Il baronetto vagabondo (None Other Gods) è l’ultimo romanzo escatologico della carriera di R. H. Benson, pubblicato per la prima volta nel 1910. Strano intruglio di generi diversi e di sensazioni contrastasti che si alternano con forsennata ostinazione, costituisce un piatto ricco caratterizzato da una forza drammatica che lo rende uno degli scritti più toccanti del sacerdote inglese.
Protagonista del libro è Frank Guiseley, figlio cadetto del marchese di Talghat, da qualche giorno laureato in giurisprudenza al Trinity College di Cambridge. È un tipo gioviale ed è famoso in tutto l’istituto per i suoi scherzi. Improvvisamente, un mattino, annuncia all’amico Jack Kirby – che nella finzione letteraria è colui che fornisce il materiale del racconto a Benson – di essere diventato cattolico e, a seguito del ripudio paterno, di aver deciso di vendere i mobili della sua stanza, abbandonare la promessa sposa Jenny Launton e girare per qualche tempo l’Inghilterra da vagabondo. Ricevuta la notizia della sua fuga dal collegio, il padre e il fratello Archie disapprovano fortemente il gesto, sollevati però dalla speranza che il ragazzo, scoperta quanto sia dura la vita di strada, possa tornare a casa dopo solo pochi giorni. Intanto Frank recupera qualche soldo compiendo lavoretti saltuari e sembra cavarsela piuttosto bene nei panni del vagabondo. Si fa però largo in lui una certa apatia religiosa che lo porta a frequentare la Messa, ove possibile, senza però l’entusiasmo dei primi tempi. Dopo qualche settimana, incontra due senzatetto, il Maggiore Truscott e Gertie. Da questo momento, per la nuova compagnia, le avventure si susseguiranno a ritmo incalzante in una costante alternanza di dramma e commedia che metterà a dura prova il corpo e l’anima di un protagonista sempre più tormentato e in difficoltà.
Il libro, pur ricalcando alcuni temi ricorrenti nei romanzi d’ambientazione moderna di Benson, si presenta sotto una veste inedita e provocatoria. Il cammino del giovane è un’occasione importantissima, anche se spesso pericolosa, per fare propria quella ricchezza che la precedente conversione al cattolicesimo gli aveva consegnato, quell’essenza che molti uomini superficiali non colgono in tutta una vita. Si parla della realtà, del significato, di una vividezza che supera di gran lunga i sensi e l’intelletto. É come quando, tolto il velo che ostacola lo sguardo, il mondo appare nella sua intima struttura, se ne comprendono per la prima volta le ragioni profonde e tutte le contraddizioni della vita – un impasto di positività e negatività – trovano la loro sintesi in Cristo, creatore della storia. Del resto il titolo originale del libro significa “nessun altro Dio”, a ricordo del primo dei dieci comandamenti. L’esistenza di Frank ricalca quindi un percorso di perfezionamento morale, di avvicinamento progressivo alla Vita: abbandonata la via piana della brillante carriera, degli agi dell’aristocrazia e di un matrimonio imminente con una splendida ragazza, il giovane si mette in cammino, sia fisicamente che moralmente. Con un gesto folle, almeno secondo la logica del mondo, rinuncia a tutto per seguire l’unica cosa vera, il Dio a cui la Chiesa di Roma l’aveva avvicinato: «La sua conversione al cattolicesimo era stata un colpo che aveva sorpreso Jack, il quale aveva sempre pensato che Frank, come lui, avesse l’ordinario sensato criterio inglese in fatto di religione». L’anticonvenzionalismo e l’allegra incontinenza di Frank si rivelano, alla fine delle sue avventure, una grazia, la premessa alla decisione di rompere con la banalità esistenziale a cui la sorte sembrava averlo destinato. Molla quindi tutto, deciso per la prima volta a diventare protagonista della propria esistenza. 
Nulla dura al mondo, tutto è destinato a passare, compresi gli idoli che costellano la vita di un giovane aristocratico. Frank però non cede alle lusinghe dell’effimero e si incammina per la via ripida. Il baronetto è dunque una sorta di eremita moderno, in cui la tensione per l’essenziale lo conduce a spogliarsi di tutto l’accidentale (con grande scandalo della famiglia e dei benpensanti): tutto è sacrificabile a Cristo, perfino se stessi.
Nella mente e nel cuore del protagonista, almeno all’inizio del vagabondaggio, tutto questo è poco chiaro. Ma è proprio grazie al confronto con una realtà spesso ingiusta e crudele – come il sacerdote che gli rifiuta l’elemosina – che Frank mette progressivamente a fuoco lo scopo della sua vita. A partire dalla riscoperta della conversione, l’approccio nei confronti dell’esistenza muta piano piano, guadagnando in profondità: «Quello che egli non poteva descrivere né comprendere era l’intima alchimia per la quale queste nuove relazioni tra le cose modificavano la sua anima e gli davano un punto di vista del tutto nuovo e sorprendente».
Anche le sue giornate, in parallelo alla maturazione morale, acquistano una pienezza inedita. Frank ha l’impressione che, intorno a lui, ci sia qualcosa di strano, una presenza che veglia sul suo cammino. Non la vede, ma il cuore, nel sussulto di un istante, l’avverte chiaramente. Questo non vale solo per lui, ma anche per tutti quelli che gli stanno attorno, come il servo del dottor Whitty che, colto da strane emozioni, esce angosciato dalla stanza in cui il ragazzo si sta riprendendo da una brutta malattia. Anche sul finire del romanzo, mentre è ospite nella casa della signora Partington, il reverendo Paharam-Carter sobbalza improvvisamente quando Frank, dopo una lunga discussione, si alza dalla sedia: «Era una sensazione ch’era venuta e svanita in un istante, quando Frank s’era mosso … una sensazione che io suppongo che qualcuno avrebbe chiamato “psichica”, la sensazione di un colpo vibrato per un istante attraverso ogni parte del suo essere».
La migliore testimonianza dalla crescita compiuta sino a quel momento è resa esplicitamente dallo stesso protagonista che, in un brano, ricostruisce il percorso di meditazione svolto durante la breve permanenza presso un monastero benedettino. Identifica sostanzialmente tre fasi che, attraversate, lo hanno portato a un livello crescente di comunione con Cristo e gli altri. La prima, denominata “Via della purgazione” prevede la tentazione dei beni materiali e, successivamente, la tentazione dell’anima. Superate queste prime prove si entra nella seconda fase, la “Via dell’illuminazione”, in cui si riscopre il valore della Fede in Cristo. Nella terza e ultima fase, la “Via dell’unione”, si comprende che creatore e creatura saranno una cosa sola per tutta l’eternità.
Ecco allora che la fuga dall’università, nata da un’azione sregolata e provocatoria, si tinge di provvidenzialità e Frank coglie per la prima volta il vero senso del suo atto. Vede anche la meta di un vagabondare che, almeno all’inizio, era dettato più dal naturale anticonformismo che da serie motivazioni. Si fa largo nel suo cuore la sensazione di seguire la via che Cristo ha preparato amorevolmente per lui, la strada più breve e idonea per incontrarlo: «V’era una sensazione di un ritorno a casa; v’era una sensazione di serenità sorprendente; v’era la sensazione di un’immensa pace obiettiva, che incontrava e ratificava quella pace interiore che cominciava ad essere sua».
Anche il passato è investito di un senso nuovo. Nell’albero genealogico dei Guiseley Frank può riscoprire infatti i legami con figure significative, come un suo antico antenato, l’unico che, da cattolico, sotto il regno di Elisabetta I pagò con la vita la fedeltà al Papa, mentre il resto della famiglia cambiò bandiera a seconda delle convenienze, appiattita in un’adesione distaccata e formale all’anglicanesimo.
Al termine della storia il rifiuto del mondo e il processo di santificazione raggiungono il culmine. Disinteressato a qualunque prospettiva di ereditare un titolo nobiliare e consistenti ricchezze, il ragazzo si consegna fiducioso, con un ampio sorriso sulle labbra, all’orizzonte oscuro e terribile che incombe su di lui. Solo allora, conclude Benson con abile paradosso, «il fallimento fu completo».

da:"www.radiospada.org

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