mercoledì 28 ottobre 2015

J. K. Huysmans, A ritroso, Milano, BUR, 2010

di Luca Fumagalli

«Questo orientamento così chiaro, così netto di A ritroso verso il cattolicesimo, mi rimane, io confesso, incomprensibile»
(J. K. Huysmans, Prefazione dell’autore scritta vent’anni dopo il romanzo)
Giovanni Des Esseintes vive solo. Il giovane aristocratico francese non avrebbe mai pensato che, dopo aver attinto a piene mani dall’inesauribile serbatoio della mondanità, ogni piacere, ogni più piccola gioia si sarebbe dissolta come neve al sole. Ora convive con il suo niente, disgustato da un mondo in rovina, tutto falsità e ostentata affettazione. I piaceri della vita, le belle donne e i vini pregiati a cui il suo portafoglio garantiva facile accesso hanno perso d’improvviso la loro attrattiva: l’ebrezza di un’esistenza all’insegna del carpe diem si è ormai tramutata in un’inguaribile noia. E così Des Esseintes abbandona i parenti e gli amici e decide di vivere da recluso in una piccola abitazione situata nei pressi di Parigi, lontana diverse miglia dalle luci sfavillanti della capitale francese. L’unico rimedio allo squallore della realtà («Tutto è sifilide») è quello di creare una sorta di eremo dorato, un’abitazione in cui il lusso, l’arte e il raffinato gusto per la bellezza possano finalmente ridare dignità alla realtà.
Nel 1884 il mondo dell’editoria francese, saturo di romanzi naturalisti di dubbia qualità, fu sconvolto dalla ventata di novità prodotta da A ritroso(À Rebours), un piccolo libro firmato da Joris Karl Huysmans. Impiegato presso il Ministero degli Interni, il francese era già all’epoca introdotto negli ambienti bohémienne di Parigi, ma rimaneva uno scrittore dilettante, i cui primi lavori seguivano un po’ troppo fedelmente la linea tracciata dall’amico Zola. Fu con la non proprio edificante lettura di Sade che si consumò per lui il divorzio dal realismo, gettando le basi per un’inaspettata rivoluzione culturale di portata continentale.
A ritroso segnò per Huysmans una svolta di stile e di vita: da oscuro letterato egli si trasformò in icona generazionale, e il suo lavoro assunse i connotati di un vero e proprio manifesto del decadentismo europeo. Senza questo romanzo un Wilde o un D’Annunzio, solo per citare gli esempio più noti e “scolastici”, non sarebbero mai esistiti: «L’arte per l’arte», il celebre aforisma dell’estetismo, aveva trovato la sua prima e più brillante applicazione.
La casa di Des Esseintes è un covo del lusso, dove stanze apparecchiate per sembrare cabine di un vascello si alternano a corridoi con carte da parati finemente decorate, scientificamente selezionate per meravigliare il visitatore con sfavillanti giochi di luce. Per la dimora si aggira addirittura una tartaruga dal guscio ricoperto d’oro e tempestato di pietre preziose. Non si contano poi le librerie che conservano volumi antichi e gli arredi artigianali che, con i numerosi quadri appesi alle pareti, contribuiscono a riempire qual vuoto che il protagonista avverte come un peso nella propria anima. Tutto questo ad alimentare la sfida lanciata dall’artificio alla deprecabile corruttibilità della natura.
Pagina dopo pagina, il libro segue il pellegrinaggio artistico e culturale che Des Esseintes compie nell’isolamento domestico, deciso a rompere ogni contatto con la mondanità. La coppia di servitori è sistemata in una stanza al piano inferiore, e i loro compiti sono pianificati dal padrone in modo tale da evitare, per quanto possibile, ogni incontro. Nell’ozio della campagna, il protagonista torna con la mente alla letteratura, all’arte e alla musica, intessendo una fitta trama di rimandi e legami che definiscono la peculiare struttura del romanzo. In A ritroso, infatti, accade ben poco, le giornate si trascinano lente, sempre uguali a se stesse, mentre Huysmans è preoccupato solamente di rendere conto delle speculazioni estetiche di Des Esseintes, separate per argomento secondo l’andamento dei capitoli. Ne emerge un ritratto vivo e appassionante in cui il concetto di decadenza − ben esemplificato dall’amore dell’aristocratico per gli autori della tarda latinità − impregna ogni paragrafo.
Ma dietro la patina di lussuoso splendore che circonda il protagonista aleggiano sinistri spettri, frutto dei tormenti dell’uomo. Correlativo oggettivo di una situazione sempre più insostenibile è il quadro di Gustave Moreau, L’apparizione, uno dei preferiti di Des Esseintes. In esso, con singolare abilità, si compendiano i temi cardine della sua esistenza: alla bellezza preziosa degli arabeschi del palazzo di Erode si accompagna la sinuosa figura di Salomè, simbolo della lussuria e della violenza. Il vero fulcro della composizione è però la visione onirica della testa di Giovanni Battista, indicata con sgomento dalla figlia di Erodiade. Il volto del Santo, sfigurato dalla morte, è circondato da una fulgida aureola e dal collo sgorgano copiosi fiotti di sangue. La ragazza è «la Bestia mostruosa, indifferente, irresponsabile, insensibile, che avvelenava, come Elena greca, tutto ciò che avvicinava, tutto ciò che vedeva, tutto ciò che toccava». È la medesima ombra che, lentamente, sta occupando il cuore di un Des Esseintes a cui non basta più il candido pessimismo di un Schopenhauer per alleviare l’insensatezza della sua vita. Tutta la costruzione dell’aristocratico francese è dunque sul punto di crollare rovinosamente, come improvvisa è la morte dell’amata tartaruga. L’artificio, l’illusione di un’esistenza vissuta sulla scorta della bellezza, si scontra con la malattia che dilania il cuore e il corpo del protagonista.
Barbey d’Aurevilly, con brillante intuizione, aveva sintetizzato così l’esito possibile del romanzo: «Dopo un libro come questo, al suo autore non rimane che la pistola o la croce». Huysmans scelse la seconda alternativa e qualche anno dopo, nel 1892, si convertì al cattolicesimo, spendendo gli ultimi anni della sua vita in una lotta senza quartiere contro l’anticlericalismo dilagante.
Con il senno di poi sorprende scorgere in A ritroso i semi di una conversione inevitabile. A partire dalla condizione di isolamento, che lo stesso Des Esseintes paragona alla fuga mundi di un monaco, diversi sono gli elementi che sembrano avvicinare la singolare esperienza del protagonista del romanzo al cattolicesimo. Al di là dell’amore che il nobile nutre nei confronti dei padri della Chiesa e di alcuni scrittori cristiani come Ernst Hello, molti degli arredi che ne impreziosiscono la dimora sono oggetti liturgici riattati per l’occasione, come la cartagloria che espone sul camino e che contiene alcuni componimenti dell’amato Baudelaire.
Il trionfo del simbolismo sul naturalismo è dunque una vittoria spirituale più che stilistica. Oltre l’approccio scientifico di un Zola, abilissimo nel descrivere il corpo ma ottusamente cieco nell’ignorare l’anima, l’autore diA ritroso punta a un autentico realismo, in grado di rintracciare tutti i fattori costitutivi dell’esistenza. In altri termini, il suo sguardo si arricchisce di quella dimensione spirituale, di quella Bellezza con la “b” maiuscola, di cui il dato reale porta traccia, di cui ogni cosa è testimonianza. È questo il primo e decisivo passo che Huysmans-Des Esseintes compì sulla strada che porta a Cristo.



lunedì 26 ottobre 2015

Nuovo canale Romano Thule Video

Da pochi giorni è attivo il canale Youtube "Romano Thule Video", che raggruppa ad oggi oltre 70 video di interventi di Tommaso Romano, presentazioni di libri Thule, eventi ed approfondimenti. Presto tanti nuovi video, vi invitiamo a visitare il canale ed iscrivervi cliccando sul seguente link:

https://www.youtube.com/channel/UCBznDndCboWJYgVlH5SlK5w/videos

domenica 25 ottobre 2015

Vito Mauro, "Continuum" (CO.S.MOS)

di Marcello Falletti di Villafalletto

Si potrebbe dire che questo corposo testo di Vito Mauro vada senz’altro a completare, se non a supportare l’im­pegno di Maria Patrizia Allotta, con il quale abbiamo aperto questa rassegna; infatti, raccoglie tutti gli scritti e gli innumerevoli impegni letterari e cultu­rali svolti dal prof. Tommaso Romano in oltre quarant'anni di proficua attività. “Un omaggio corale” ad un uomo, professionista serio, che merita ampiamente di essere onorato, non solamente per quello che è, ma per quello che è da sempre e per quello che continuerà ad essere in futuro: sicuramente ancora provvi­do, ricco e valido. Un personaggio granitico, poliedrico, consapevole del suo potenziale umanitario e culturale del quale la nostra società continua ad avere profondamente bisogno.
«Di fatto Romano si può considerare il più lucido e intellettual­mente più interessante rappresentante di questo significativo filone della cultura siciliana. Da qui il suo giudizio sul nulla della condi­zione culturale del presente in modo severo da lui stesso espresso: “Perso il timor di Dio” l’uomo contemporaneo non vuole neppure - prometeicamente - farsi Dio, ma annullarsi nell’insignificanza, an­negare nel non-senso, nell’ovvio, verso una sorta di trasformazione antropologica”. Aggiungo io purtroppo in negativo.
Un ritratto, se non esaustivo, certamente fedele, della identità intellettuale di Romano, non facile da sintetizzare, stante la sua “co­smicità”, si può estrarre da quanto egli dice, quasi autobiografica­mente, di Vincenzo Mortillaro nel volume Contro la rivoluzione la fedeltà. E' forse l’opera migliore da lui scritta, né può ritenersi un caso: “Letterato e poeta, fondatore, direttore, animatore prima e dopo il ’60 di riviste e giornali e molteplici responsabilità amministrative... critico acerrimo dei nuovi rivoluzionari del 1860, della conquista garibaldina e del Nuovo Regno d’Italia di marca piemontese liberale e coloniale, fu costantemente ammirato, deriso e invidiato per il suo rigore e la sua visione del mondo e della storia”.
Mortillaro era un cultore del passato. Aristotele ha scritto che la memoria è negata agli schiavi. Apprezzo Romano soprattutto perché in quanto cultore del passato vuole restituirci la memoria che il presen­te ci nega. Il fine ultimo del suo impegno culturale vuole essere libe­ratorio per tutti. Il mondo che ci fa sognare è infatti un mondo senza schiavi.» ha scritto Antonino Buttitta, nella appropriata e apprezza­bile introduzione. Possiamo aggiungere che questo mondo “senza schiavi”, oggi sembra essere più aleatorio che nei tempi passati. Sono cambiate le forme di schiavitù, sono diventate multiformi, impressio­nanti, devastanti e deleterie: eppure continuiamo a parlare di libertà. Sbandierandola ai quattro venti di una società sorda, ammutolita, ip­notizzata, formalmente scandalizzata ma che continua a considerarla un sogno ideale, dal quale però rischia di non svegliarsi mai.
Quindi ben venga il volume di Vito Mauro su Tommaso Romano, - anzi sulla “bibliografia di e su” - figura morale e intellet­tuale di un siciliano puro, assurto a livello cosmologico, perché usci­to dai confini di quell'affascinante isola mediterranea, si è fatto voce, non di “colui che grida nel deserto” di una modernità compiacente, soggiacente, anestetizzata, permissiva di un libertinismo (forse anche più libertinaggio), scambiato per libertà; diventata ancora più for­ma di schiavitù nuova, ammirata, vissuta incondizionatamente, ma elevatasi a richiamo, avvertimento, monito del quale le generazioni future dovrebbero farne approdo sicuro.
Potrebbe sembrare scontato recensire un lavoro di questa autore­vole portata ma sono certo che qualunque appassionato di cultura, testi e di ricerca intellettuale saprà apprezzarne il valore altamente utile e necessario; oltre che a scoprirne la granitica personalità di Tommaso Romano, non solamente personaggio costantemente im­pegnato, ma fortemente motivato ad essere ancora, lungamente, par­te attiva di questa nostra, sempre più, svagata società.

da: “L’Eracliano”, Scandicci n°7-9, 2015

sabato 24 ottobre 2015

Maria Patrizia Allotta, "Nel buio aspettando l’alba, speranza che non muore" (Ed. Limina Mentis)

di Marcello Falletti di Villafalletto

L’Autore non vuole tracciare una biografìa, alquanto inopportuna, del noto personaggio palermitano, ampia­mente conosciuto non solamente nel circostanziato spazio isolano; altrettan­to a livello nazionale ed europeo, ma riassumere alcuni aspetti del suo pensiero e del coerente operare che lo hanno da sempre contrad­distinto. Certamente non si potrà neanche condensare in poche pa­gine l’intensa poliedrica attività di un personaggio, come Tommaso Romano, che ha ancora tanto da dare, fare e proporre.
A riguardo, la curatrice, nel Proemio, “Tommaso Romano: la scrittura della vita” scrive: «Trovare le parole esatte per definire e ben rappresentare l’unicità di una qualsivoglia creatura è già compito delicato e difficile. Se si desidera poi cogliere l’essenza e catturare la sostanza di un uomo dalle forme volubili, riluttante ad ogni pri­gionia, ribelle a qualsiasi classificazione, sempre in divenire anche se fortemente ancorato alla sua radicale coerenza, allora l’opera diviene ancora più complessa». Già: “eterogenea, articolata” potrebbero esse­re definizioni sostanzialmente riduttive e costrittive per la multifor­me attività che diviene fondamentalmente vitale per l’impegno che Tommaso prosegue, persegue e continua a sviluppare con indomita energia, quasi adolescenziale. Dove altri si arresterebbero, lui ripren­de, prosegue, saldamente ancorato, verso un futuro che sembra aver sempre più bisogno di energie di questo tipo: come le sue.
«Volere, inoltre, riassumere le qualità esistenziali attraverso con­sueti termini, soliti aggettivi e luoghi comuni di chi, per natura, consueto, solito e comune non lo è affatto, l’impresa diventa laboriosa - prosegue l’Allotta -. In tal senso, allora, raccontare Tommaso Romano, facile certamente non è.
La prima difficoltà nasce dalla scelta delle parole per restitui­re un ritratto che ben lo rappresenti. Infatti, utilizzando un lessico semplice e ordinario si potrebbe mortificare la complessa formazione culturale, il suo ampio sapere e le sue astruse conoscenze; di contro, l’adozione di un linguaggio altisonante sminuirebbe certamente la sua innata semplicità e naturalezza, spesso però mascherata -inspie­gabilmente - da un atteggiamento altezzoso e schivo, in taluni casi arrogante e superbo, alieno, comunque, da ogni volgarità, banale esteriorità e mondanità.
La seconda difficoltà è data, invece, da un ostacolo sicuramente più insidioso: sintetizzare chiaramente il suo operato considerando il dove, il quando e il perché della sua “contemplattività”.
Ecco allora che ogni etichettatura non rende, ogni classificazione appare impropria, ogni recinto vincolante; così come le stesse coor­dinate spazio-temporali non reggono data la simultaneità plurima del suo agire.
Ricapitolare, dunque, il profilo sinuoso di Tommaso Romano, che si esprime a cascata, per cicli e in diverse direzioni, ma soprattut­to, ricostruire la foga e l’impeto del suo fare, la volontà di realizzare, la capacità di progettare e la passione per il contemplare, lievemente smarrisce».
Riassumere in poche pagine un percorso di vita, per quanto avanzato, tutto ancora in divenire, non sarebbe facile, tanto meno delinearlo con semplici e mortificanti parole. Quindi, ha fatto otti­mamente Maria Patrizia Allotta, a presentare questi orientamenti di speranza, che non possono morire mai, dai quali emerge l’anima, più profonda dell’uomo, del poeta, dello scrittore, del critico, saggista, bibliografo, storico, politico e altro ancora che esorta: “Viviamo nella e per la Verità”. Facendo di questo assunto un programma esisten­ziale, eternamente durevole; tanto da farsi universalmente pedagogo non solamente di pensiero ma di vita stessa; vivendola intensamen­te, profondamente, attivamente come ha da sempre fatto Tommaso Romano. E oggi, più che mai, la sua sollecitazione a certi uomini di potere, comando, amministrazione, organizzazione, dovrebbe diven­tare monito nella mente, programma del cuore, affinché realmente quella “politica che ha bisogno dell’anima”, diventi espressione in­cessante di più elevate considerazioni: quelle che scaturiscono chia­ramente dall’insegnamento evangelico e cristiano.
Fin dal primo capitolo: L’essenzialità della parola viva, delinea, energicamente un percorso vitale che ripercorre quel “mosaicosmo”, (personale suo neologismo), presentandocelo: unico e irripetibile che attraversa un’intera esperienza umana che possiamo, dovendolo riscoprire, non solamente irripetibile ma cosmologico nella sua in­controvertibile unicità.
Argomenti filosofici, pensieri pedagogici, maturati in queirin­tima contemplazione che ardiscono verso un’attività sinergicamen­te produttiva, ben articolata, tanto da poter essere presentati come mimési che diventa via via esegesi di un’escatologia tanto necessaria all’umanità, che oggi ne ha smarrito il vero e autentico significato.
«Occorre riscoprire il legame vero, quella “consanguineità” col Mistero - scrive Tommaso Romano, verso la fine del settimo capitolo (Dalla morte di Dio al Dio vivo) - quell’amicizia che non tradisce e che vigilando ci libera, quel magistero che risiede nel prezioso dono dei sacramenti e dei comandamenti. Vivere Cristo è il più alto degli atti e degli esempi cui lo sforzo della nostra vita può tendere»; non più mera filosofia ma elevata teologia che proietta ad una elevata co­noscenza, verso la quale dovrebbe, deve tendere ogni essere umano. Ciò significa vivere “nella e per la Verità”, cominciando da quaggiù quel percorso, a volte scabroso, difficile, per proseguirvi, da ora in poi, eternamente.

da: “L’Eracliano”, Scandicci n°7-9, 2015

venerdì 23 ottobre 2015

Luca Fumagalli, "L'ombra delle mosche. Introduzione alla narrativa di William Golding (Ed. Il Cerchio)

William Golding (1911-1993), premio Nobel per la letteratura nel 1983, è ancora oggi ricordato quasi esclusivamente per il romanzo d’esordio, Il Signore delle Mosche, l’indiscusso capolavoro che, oltre a garantire fama e notorietà al suo autore, ha segnato indelebilmente la cultura anglosassone dell’immediato dopoguerra. La Critica dello scrittore inglese all’ingenuo ottimismo moderno si sostanzia in una drammatica riflessione circa la natura irrimediabilmente malvagia dell’uomo.
Da questa costatazione prende le mosse una poetica graffiante e contraddittoria che, romanzo dopo romanzo, trova la via per approdare a un’isperata ipotesi di redenzione universale.
L’opera di Golding è quindi un’appassionante avventura, gravida di ansie e desideri, alla ricerca della perduta umanità. Il saggio di Luca Fumagalli invita per la prima volta il lettore italiano a scoprire l’intelligenza provocatoria di una delle più brillanti del XX secolo.

LUCA FUMAGALLI è nato a Lecco nel 1985. Laureato in Lettere Moderne presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi in Drammaturgia, è insegnante di scuola media. Appassionato di Letteratura e Storia, da alcuni anni si occupa in particolare dello studio e della promozione delle figure più significative del cattolicesimo britannico degli ultimi due secoli. Tra i suoi lavori si ricorda il saggio biografico Robert Hugh Benson. Sacerdote, scrittore, apologeta (Fede & Cultura, 2014) e la curatela de La storia dell’eremita Richard Raynal di Robert Hugh Benson (Edizioni Radio Spada, 2013)

Recensioni da: www.altritaliani.net

Dolores Massa, ’Mia figlia follia’, Edizioni Il Maestrale.

Con questo articolo di Daniela Pia, desideriamo presentarvi la scrittrice sarda Savina Dolores Massa, che sarà a Parigi questo venerdi 23 ottobre per partecipare ad una giornata di studi, che si tiene all’Università Paris X Nanterre, in cui si parlerà di “Fantastique féminin et fantastique italien”. Alla fine dell’articolo, trovate il programma della giornata di studi. Savina Dolores Massa parlerà del suo lavoro a partire dalle 16h. Savina Dolores Massa è una strega. Una jana. Una bruja. Se hai una (...)
Leggi l'intero articolo

Marco Bellini poesie: La distanza delle orme @

19 ottobre 2015, diCinzia Demi
Marco Bellini con il suo nuovo lavoro, “La distanza delle orme @”, introduce un percorso di ricerca attraverso la paleontologia e l’antropologia, discipline non nuove all’uso della poesia, abbinando una forma di comunicazione inserita nella modernità più assoluta, ovvero proponendo una versione in CD del libro, con inserti che si aprono in maniera interattiva su altri testi non presenti sul cartaceo. Una modalità insolita per la poesia. Marco Bellini nasce in Brianza, dove ancora risiede, nel (...)

Con il nuovo Senato cambia la storia italiana

16 ottobre 2015, di Nicola Guarino
E’ ormai imminente il tramonto del bicameralismo perfetto che ha segnato la storia della Repubblica italiana. Un passaggio storico costruito da un governo che ha lavorato con un parlamento privo di maggioranze nette. Un successo voluto da Napolitano e auspicato da tanti italiani. Probabilmente ad Ottobre 2016 gli italiani voteranno al referendum per confermare questa svolta. Sembra che ci siamo. La notizia è che in terza lettura è stata approvata la riforma del Senato ed in pratica si passa (...)

Il mondo di Philippe Forest

15 ottobre 2015, di Carmelina Sicari
Al Festivaletteratura di Mantova Philippe Forest ha portato un contributo particolarmente importante ed attuale. Ha parlato di scrittura, autobiografia, filosofia, vita e arte e de “Il gatto di Schrödinger” nell’ambito d’un incontro dedicato al romanzo filosofico. Come si sa, lo scrittore francese, docente di Letterature comparate all’Università di Nantes, ha cominciato a occuparsi di letteratura a livello scientifico dalla morte della sua bambina Pauline. E’ l’autore di numerosi saggi. Il suo (...)

“Perdersi in una lontananza infinita”. Pirandello e la fuga dei suoi personaggi

14 ottobre 2015, di Ilaria Paluzzi
Parte 2 di “Il viaggio come ricerca di sé. Pirandello e la fuga dei suoi personaggi”. Nella narrativa pirandelliana ci sono alcuni personaggi, i cosiddetti “viaggiatori immaginari’’, che proiettano sulle rotte di un viaggio, che cercano attraverso i finestrini di un treno, una loro dimensione diversa. Dalle novelle “Il viaggio” e “La carriola” fino al romanzo “Suo marito”, gli itinerari di uomini e donne tra fuga dal presente e dalla quotidianità e ricerca di una nuova - e più autentica - identità. (...)

Les partenariats culturels d’Altritaliani

13 ottobre 2015, di Evolena
L’actualité culturelle italienne à Paris: cinéma, théâtre, concert, opéra, expo... Découvrez nos partenariats du moment! Des tarifs préférentiels, des invitations à gagner pour vous tous, amis internautes d’Altritaliani.net (aucune adhésion n’est requise!) ou, tout simplement, des informations à saisir au vol. AIMEZ ALTRITALIANI sur FACEBOOK Inscrivez-vous gratuitement à la newsletter Altritaliani Consultez l’Agenda d’Altritaliani sur les initiatives culturelles de notre association. Notre forum: Le (...)

A Roma l’arte di Kokocinski: da Pulcinella al Clown

12 ottobre 2015, di Raffaele Bussi
La fondazione Roma Museo-Palazzo Cipolla presenta al pubblico la mostra personale di Alessandro Kokocinski dal titolo “Kokocinski. La vita e la maschera: da Pulcinella al Clown”. Nel portfolio, vi presentiamo alcune delle opere in esposizione. L’esposizione contempla un corpus di oltre settanta opere polimateriche dell’artista nato a Porto Recanati da madre russa e padre polacco, dalle tecniche fortemente innovative, dipinti sculture altorilievi installazioni disegni filmati versi poetici e (...)

L’eredità di Dante, a 750 anni dalla nascita del Poeta

11 ottobre 2015, di Gaetanina Sicari Ruffo
Il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri è stato solennemente rievocato in un importante Convegno Internazionale a Roma, a Villa Altieri, nel Centro Studi per la Ricerca Letteraria, Linguistica e Filologica “Pio Rayna”, in concomitanza con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dal 27 settembre al 1° Ottobre 2015. Si sono alternati a discutere i vari temi, relativi alla formazione intellettuale del Poeta, alla produzione, alla tradizione ed all’interpretazione (...)

Giancarlo Sissa: Autoritratto (Poesie 1990-2012)

11 ottobre 2015, di Cinzia Demi
Esce con due nuovi libri Giancarlo Sissa, entrambi editi nel 2015. “Autoritratto” edito da Italic di Ancona, e “Persona minore” edito da Qudulibri di Bologna. In quest’articolo di Missione Poesia ci occuperemo del primo. “Autoritratto”, come testimonianza di esperienze che dalla giovinezza passano per le varie fasi della vita fino ad arrivare a quella attuale, dove si approfondiscono i temi dell’amore, del lavoro, degli ideali politici, degli ambienti che hanno lasciato un segno, degli amici e dei (...)

Le Café des Italiens : Forum d’Altritaliani.net

11 ottobre 2015
Le “Café des Italiens” est un café virtuel et animé, le forum qu’Altritaliani met à votre disposition. Diffusez vos infos sur l’Italie, faites connaître vos initiatives et participez à la vie du site. Qui, al “Café des Italiens”, il forum di Altritaliani, ognuno puo’ intervenire, dare una notizia. E’ quotidianamente aggiornato. Vi aspettiamo! Pour intervenir dans ce Forum, cliquez sur “rispondere all’articolo”, insérez un titre, écrivez votre message et validez-le. Après modération il sera mis en ligne. (...)

Le retour de Carmen Consoli à Paris, en concert à la Bellevilloise

10 ottobre 2015, di Evolena
Sourire aux lèvres, l’inimitable Carmen Consoli revient à Paris, dans le cadre d’une tournée européenne, pour présenter au public français (et italien!) son nouvel album “L’abitudine di tornare” lors d’un concert unique le 25 novembre à 20 heures, à La Bellevilloise, dans le 20e. Elle s’est faite attendre cinq ans depuis son dernier concert à la Cigale en 2010, mais la revoici dans la Ville lumière et tous ses fans s’en réjouissent! LINK: Carmen Consoli alla conquista della Francia (sept 2010) Lorsque (...)

mercoledì 21 ottobre 2015

Adalpina Fabra Bignardelli, "Ricamare il tempo (Ed. Thule)

di Giuseppe La Russa

Potrebbe sembrare, all’apparenza, un bel titolo di un libro di poesia, il riassunto di un’opera in cui protagonista sono il tempo, con il suo incessante scorrere in avanti, e l’operosità umana che in esso prova a scavare, che in esso prova a costruirsi il suo spazio, la sua vita. Ma poi, in fondo, non ci si discosta tanto dal vero a leggere l’ultimo libro di Adalpina Fabra Bignardelli, “Ricamare il tempo”, opera in cui l’autrice compie un approfondito excursus storico sulla storia del ricamo in Sicilia. Non si tratta di intimismo lirico, è vero, ma nelle pagine del testo, edito da Thule nel 2013, si può scorgere ed ammirare quella stessa “industria” umana che pretende il suo spazio nel tempo e col tempo, che sa costruire e plasmare una identità.
Emerge questo dalla zelante indagine della Bignardelli, così come Annamaria Amitrano mette in rilievo nella prefazione al libro in cui pone la sua attenzione su come un oggetto sia documento culturale, antropologico, su come possa essere testimonianza viva.
AdalpinaFabraBignardelli, ricamatrice per passione, nei sette capitoli in cui il libro è suddiviso fa una analisi minuziosa sulla storia del ricamo nella nostra regione, partendo, con assoluto scrupolo scientifico, dalle tecniche di coltivazione delle piante tessili in Sicilia. Ciò che muove l’autrice, oltre alla passione che coltiva da anni, è la certezza che anche il ricamo e l’arte serica meritino un rilievo insieme allo studio della pittura e della scultura, poiché anche in essi viene fuori prepotente la laboriosità umana; inoltre, seguire la storia del ricamo significa cercare di capire da vicino storie economiche e sociali, nonché antropologiche della Sicilia: basti dire del ricamo come questo venisse riservato per gli abiti da cerimonia e quindi servisse come segno distintivo, di appartenenza.
Va detto, inoltre, e l’autrice lo sottolinea, come il ricamo, introdotto in Sicilia in epoca araba, risenta fortemente dell’influsso della pittura e delle arti visive in genere, per cui, sottolinea la Bignardelli, può certamente essere annoverato fra le cosiddette Belle Arti.
Attraverso il percorso seguito dall’autrice, dunque, possiamo viaggiare nella Sicilia del ricamo, dell’arte tessile, apprezzare da vicino tecniche di lavorazione del tessuto che vengono spiegate con accuratezza e attenzione ai dettagli, in modo da permettere al lettore di fruire appieno del valore di un’arte spesso tralasciata dagli studi, ma il cui studio concede di scandagliare un ulteriore aspetto della laboriosità umana, un’ altra angolazione da cui osservare il mondo, un altro modo di raccontare la propria storia, proprio come se stessimo leggendo un bel libro di poesia.

L’angolo di Gilbert K. Chesterton – grandezza e attualità di uno scrittore cattolico

di Fabio Trevisan

Quando Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) pubblicò il poema epico: “La ballata del cavallo bianco” nel 1911, volle rendere omaggio innanzitutto alla moglie Frances Blogg con una dedica riconoscente e commovente: “Consegno queste rime a te, che hai messo la croce nelle mie mani, da allora su di te, fiamma senza macchia, vidi il segno che vide Guthrum…”. Guthrum era il condottiero pagano che fu sconfitto e convertito dal Re cattolico Alfred nel IX secolo. Chesterton si faceva sovente portare dall’autista sulla collina del Berkshire, nel sud-est dell’Inghilterra, dove appariva incisa, tra il verde ed il gesso sottostante, la figura preistorica di un cavallo bianco stilizzato. Nella prossimità di quei luoghi avvenne la battaglia di Ethandune, dove Re Alfred del Wessex vinse gli invasori Danesi. Chesterton si era diplomato alla Scuola d’Arte e amava disegnare proprio con quei gessetti bianchi di cui il Cavallo Bianco era composto. Non volle perciò scrivere un trattato o un saggio storico su quegli straordinari avvenimenti (avrebbe potuto farlo, anche con esiti ragguardevoli, data l’amicizia con lo scrittore e grande storico cattolico Hilaire Belloc).
Perché preferì scrivere un poema epico? E’ lui stesso a dircelo nella prefazione: “Questa ballata … vuole porre l’accento sulla tradizione piuttosto che sulla storia. Il culto di Alfred appartiene alla tradizione popolare ed è dell’intera leggenda popolare su di lui che mi occupo qui. Scrivo come chi è assolutamente ignorante di tutto, eccetto che di aver verificato che la leggenda del Re del Wessex è tuttora viva nel paese”. Non interessavano tanto le precise datazioni né i documenti storici: lo scopo era quello di preservare la memoria e la tradizione orale. L’autista che lo accompagnava non faceva che perpetuare il valore di quella tradizione umana in quanto, percorrendo su e giù quelle valli, s’era espresso in questo modo sincero e umile: “Anche qui sarebbe stato un bel posto per disegnare un cavallo bianco”. Chesterton accolse l’osservazione dell’autista con grande gioia: “Smisi di preoccuparmi del motivo per cui l’uomo comune avesse cercato di scalfire e lasciare segni sulle colline. Ero soddisfatto di sapere che l’uomo aveva voluto farlo perché io avevo visto un uomo che voleva farlo”. Il primo libro (il poema epico ne contiene otto) aveva emblematicamente come titolo: “La visione del Re” e Chesterton descrisse le condizioni desolate di una civiltà cristiana piegata dalla barbarie nemica: “Il mondo fu un deserto dietro il loro passo, presero l’amabile croce di Dio e ne ricavarono pezzi di legna…il Re a pezzi stava in ginocchio”. In questa situazione umiliante, prostrato in preghiera e ritiratosi sull’isola di Athelney, Re Alfred ebbe una grande visione: “Lui guardò; ed ecco Nostra Signora. Stava alta e passava sicura sull’erba come un cavaliere sul suo destriero…”.
Nella consapevolezza del dilagarsi dell’empietà e del conseguente scoraggiamento cristiano, la Vergine Maria pronunciava queste indelebili parole: “Ma tu e tutta la stirpe di Cristo siete ignoranti e coraggiosi, e avete guerre che a stento vincete e anime che a stento salvate. Non dico nulla per il tuo conforto, e neppure per il tuo desiderio…”. E’ la Madonna che ora pone ad un Re angosciato una terribile, decisiva domanda, che gli farà alzare e definitivamente volgere lo sguardo all’unica roccaforte di salvezza: “Sai provar gioia senza un motivo, dimmi, hai fede senza una speranza?”. Il Cavallo Bianco rappresentava per il Re l’emblema della purezza originale, come Maria, e doveva essere custodito dall’incuria pagana, che era segno del disordine e del peccato: “Quando il Re fu presso il fianco del Cavallo Bianco, il grande Cavallo Bianco era grigio, rovinato dalle erbacce che lo avevano infestato, da quando gente nemica, di fede e costumi diversi, aveva spazzato via l’opera del tempo antico”. Ecco così che il Re additava quel luogo divenuto sacro, la Valle del Cavallo Bianco, quale simbolo della vera pace cristiana: “Il Re comandò che il Cavallo Bianco rimanesse bianco come il primo manto di neve”. Alla luce delle parole di Maria veniva così esplicitata la missione del Re: “Anche sopra le nostre candide anime, grandi e feroci eresie si agitano più superbe del manto erboso, e più tristi del suo mormorio. Io continuo a cavalcare contro questa incursione, e voi non capite il mio ruolo; ma capirete, tra un giorno o tra un anno, quando una stella d’erba verde crescerà qui, che il caos vi ha colpito”. Re Alfred ribadiva così la verità e la fede necessarie a un mondo che stava dimenticando (come la nostra epoca moderna) di curare il Cavallo Bianco e di custodire il proprio cuore dalle insidie del peccato: “Se vogliamo continuare ad avere il cavallo antico, curatelo in modo che sia nuovo”. Il Re era perfettamente conscio della realtà del Maligno e vedeva chiaramente quanto in futuro sarebbe potuto accadere: “Tra molti secoli, tristi e lenti, io ho una visione, io so che i pagani ritorneranno”.
In quel preciso momento Chesterton, attraverso Alfred, descriveva con toni drammatici il paganesimo dell’epoca moderna, i suoi agenti, i comportamenti, i pensieri e le parole del nemico: “Essi non verranno su navi da guerra, non devasteranno col fuoco, ma i libri saranno il loro unico cibo, e con le mani impugneranno l’inchiostro…voi li riconoscerete da questi segni: lo spezzarsi della spada, e l’uomo che non è più un cavaliere libero, capace di amare o di odiare il suo signore. Sì, questo sarà il loro segno: il segno del fuoco che si spegne, e l’Uomo trasformato in uno sciocco, che non sa chi è il suo signore. Da questo segno li riconoscerete, dalla rovina e dal buio che portano; da masse di uomini devoti al Nulla, diventati schiavi senza un padrone, da un cieco e remissivo mondo idiota, troppo cieco per essere disprezzato…dalla presenza di peccatori, che negano l’esistenza del peccato…dall’onta scesa su Dio e sull’uomo, dalla morte e dalla vita rese un nulla, riconoscerete gli antichi barbari, saprete che i barbari sono ritornati”. Non spettava più a Re Alfred indicare quali vie intraprendere: “Come gli uomini potranno sconfiggerla, o se la Croce si innalzerà di nuovo, con la carità o la cavalleria, la mia visione non lo dice”. Il Cavallo Bianco, come ci ha ricordato Re Alfred, è ancora là che ci aspetta e abbisogna anche della nostra cura. Chesterton ce l’ha chiaramente indicato.

martedì 20 ottobre 2015

Nuovo libro di Amerigo Iannacone

È appena uscito dalla tipografia il nuovo libro dello scrittore-poeta venafrano Amerigo Iannacone, “Eppure”, (Ed. Eva, Collana “la stanza del poeta” Venafro 2015, pp. 64, € 9,00. ISBN 978-88-97930-61-7).
Amerigo Iannacone è nato e vive a Venafro. Ha al suo attivo la pubblicazione di una quarantina di libri, quindici dei quali di poesia. I piú recenti sono:  Oboe d’amore / Ama Hobojo - poesie / poemoj, (2007), con traduzione in esperanto;  Luoghi, (2009); Parole clandestine, (2010); Poi, (2011), Premio “Libero De Libero” 2010; Sabbia, (2013), Premio Napoli Cultural Classic. Bibliografia principale su Amerigo Iannacone: Aldo Cervo, Le “Testimonianze” di Amerigo Iannacone (2000); Leonardo Selvaggi, Tra crisi di transizione la poesia di Amerigo Iannacone in stimolazioni etico-sociali, (2004); Leonardo Selvaggi, La poesia di Amerigo Iannacone, (2006); Giuseppe Napolitano, Scritti per Amerigo, (2010); Aldo Cervo, Letture critiche nella produzione letteraria di Amerigo Iannacone, (2010); AA. VV., Umanità e Cultura in Amerigo Iannacone - Testimonianze per trent’anni di attività letteraria, (2010), Atti del convegno omonimo.
«È subito chiaro – scrive tra l’altro Giuseppe Napolitano in prefazione – il senso di questa operazione editoriale (raccolta di pagine poetiche sparse negli ultimi cinque anni), di questa confessione lirica che Amerigo Iannacone offre ai lettori. Fin dai primi testi, infatti – e si direbbe addirittura fin dal titolo, che è un manifesto d’intenti –, leggiamo le giuste chiavi per entrare nel libro, nella sua trama tematica; leggiamo le parole/emblema, gli stilemi, i versi che ci dicono come orientarci, parlandoci delle sue problematiche esistenziali – che sono le nostre –, filtrate dalla sua (ben nota, a chi lo segue ormai da sempre) arguta bonomia, dalla sua oraziana misura di vita».

lunedì 19 ottobre 2015

Lo scontro di civiltà nel mare Mediterraneo

di Domenico Bonvegna

Ogni anno il 7 ottobre, in occasione dell’anniversario della battaglia di Lepanto e quindi della festa della Madonna del Rosario(ottobre 1571), il mio pensiero va dritto a quegli anni intensi di veementi scontri armati tra cristiani e musulmani. Per più di un secolo il mondo cristiano di allora fu costretto a prendere le armi per difendersi dall’avanzata inarrestabile dell’impero turco. Fu uno scontro di civiltà, simile a quello che stiamo vivendo ai nostri giorni dopo l’11 settembre 2001? Certo se stiamo al libro, più criticato che letto, di Samuel Huntington, “Lo scontro di civiltà”, la risposta è si. Se invece ascoltiamo certo mondo progressista, pacifista sempre e comunque, allora siamo in un mondo felice e senza scontri, e se eventualmente c’è qualche conflitto, la colpa è sempre del mondo occidentale.
Casualmente, ieri dopo la veglia delle sentinelle in piedi in piazza XXV Aprile a Milano, sono entrato nella chiesa di S. Maria Incoronata, in tempo per ascoltare un frammento dell’omelia di un prete che biasimava il comportamento della Chiesa del passato, quando benediceva le armi e le guerre…Poi secondo il prete, per fortuna è arrivato il solito Vaticano II, un concilio, che è stato per la prima volta, celebrato per combattere nessuno, e così tutto si è rimesso a posto. Quindi stando al prete meneghino, il comportamento della Chiesa del 1500 era sbagliato, assolutamente da condannare.
Vediamo di fare una panoramica di quegli scontri, di quelle battaglie, di assedi e scontri perlopiù avvenuti sul mare, sulle coste del mare Mediterraneo. Prima di arrivare allo scontro finale di Lepanto, ci sono stati una serie di piccole e grandi scontri tra il mondo cattolico e quello ottomano che sono proseguitiper più di un secolo, tra la fine del 1400 e il 1500. Naturalmente come per ogni episodio storico passato, noi contemporanei, dobbiamo fare lo sforzo di immergersi in quel tempo, per capire i pensieri di quegli uomini e donne di quei secoli. E’ quello che hanno forse capito e raccontato nei loro libri, Arrigo Petacco e Alberto Leoni. Sono i libri a cui farò riferimento nel mio studio, per forza di cose, sintetico, che spero possa essere utile per voi lettori.
Dunque, i testi di riferimento sono, “La croce e la mezzaluna. Lepanto 7 ottobre 1571: quando la Cristianità respinse l’Islam”, A. Mondadori (2005), “L’ultima crociata. Quando gli ottomani arrivarono alle porte dell’Europa”, A. Mondadori (2008), scritti entrambe dallo storico, Arrigo Petacco e infine il testo di Alberto Leoni, “La Croce e la mezzaluna”, con un sottotitolo abbastanza lungo: “Le guerre tra le nazioni cristiane e l’Islam. Una storia militare dalle conquiste arabe del VII secolo al terzo millennio”, pubblicato dalle Edizioni Ares (2009): Già questo sottotitolo, dà atto dell’argomento che sto affrontando.
1453 cade Costantinopoli.
L’evento tanto temuto, ma da nessuno ritenuto possibile, era dunque accaduto. Scrive Petacco. “L’islam, che da tempo dilagava a macchia d’olio lungo le sponde del mediterraneo, aveva infine sommerso anche l’ultimo presidio cristiano del Vicino oriente”. La conquista ottomana della “seconda Roma” determinò una svolta fondamentale nella storia, L’Europa orientale rimarrà per secoli soggetta all’islam e quindi separata dalla civiltà cristiana occidentale. Un avvenimento storico che colpì la fantasia degli europei per la sua drammaticità, ma nessuno però ha colto le“decisive implicazioni politiche”. Da circa due secoli, la ricca Costantinopoli, ridotta ormai a una sorta di isola in un mare diventato sempre più musulmano, sembrava “fatalisticamente rassegnata a godersi le delizie di uno splendido tramonto”. L’islam ormai era dilagato lungo le coste africane fino a raggiungere la Sicilia e risalito i Balcani sfiorando Udine e la stessa Vienna, Petacco la tratteggia come “una gigantesca tenaglia”. Costantinopoli era ridotta alle sole fortificazioni murarie. Fu MehmedII ad assediare Costantinopoli e conquistarla, mentre l’imperatore Costantino XI, nell’ultima disperata battaglia, morì combattendo, soldato fra i soldati. I soldati turchi per tre giorni saccheggiarono la città: “le strade e le piazze erano lastricate di cadaveri orrendamente mutilati. Il sangue era ovunque. Neanche i monasteri furono risparmiati e i loro inquilini, maschi e femmine, violentati e uccisi, Molte monache per non  cadere nelle mani dei vincitori, cercarono la morte gettandosi in mare o lanciandosi dalle finestre”. Nulla di nuovo, in queste occasioni, la storia si ripete sempre.
Il fronte aperto nel Mediterraneo.
I turchi in passato non avevano mai avuto tanta confidenza con il mare, avevano sempre preferito combattere essenzialmente sulla terra ferma. “La situazione cambiò in modo determinante con la conquista, da parte della Sublime Porta, delle coste nord-africane”, scrive Alberto Leoni. Si apriva un nuovo teatro di guerra, “che vide pirati e corsari musulmani ripetere le gesta dei vari Mugehid dell’XI secolo”. Mehmed ora disponendo di cantieri navali efficienti, di migliaia di schiavi da mettere ai remi e di validi comandanti (quasi tutti cristiani rinnegati) che di vele e di rotte si intendevano, “allargò gli orizzonti e la conquista del Mediterraneo diventò un’esigenza prioritaria per la realizzazione del suo grandioso disegno”. “Un solo Dio in cielo, un solo re sulla terra”, sarà l’obiettivo suo e di tutti i suoi successori, per un paio di secoli, sarà questa l’idea di jihad sul mare.
La pirateria barbaresca e il saccheggio delle coste mediterranee.
“La guerra nel Mediterraneo - scrive Leoni - doveva conoscere uno sviluppo vertiginoso con l’avvento di uno dei più geniali e crudeli ammiragli della storia: Kair ad Din, il famoso Barbarossa, figlio di un rinnegato greco di Mitilene, che esercitava la pirateria nell’Egeo[…]” Barbarossa e suo fratello Orudje, intravidero le enormi possibilità di guadagno nelle scorrerie lungo le coste italiane e, nel 1516, riuscirono a prendere il controllo di Algeri facendone strangolare il locale sceicco”. Ma tra i pirati e corsari, non c’era solo Barbarossa, ma anche altri, come Assan Agà, di origine sarda, Sinam il Giudeo, Aidino delle Smirne, denominato Cacciadiavoli. Siamo nel 1534, Barbarossa a capo di una potente flotta ottomana, va alla conquista della penisola italiana saccheggiando le coste siciliane e calabresi. Intanto l’imperatore Carlo V cercò di rispondere con un’altra potente flotta al comando di Adrea Doria, si cercò di conquistare Tunisi in mano al Barbarossa, una lotta disperata. Leoni racconta dei diecimila prigionieri cristiani, ammassati nei sotterranei della guarnigione di Tunisi, Barbarossa che si trovava in difficoltà per l’assedio cristiano, voleva trucidarli tutti in massa, ma i suoi ammiragli si opposero, temendo di perdere gran parte del proprio patrimonio. Infatti occorre aprire una parentesi, “le prede umane erano infatti il bottino più ambito dai pirati barbareschi perché, in un modo o nell’altro, avrebbero fruttato denaro. Scrive Petacco. Gli harem degli emiri si contendevano le donne giovani e belle, mentre i cantieri navali, i mercanti e i proprietari di terreni o di cave avevano tutti bisogno di braccia da lavoro a buon mercato. Ma ad averne più bisogno di tutti erano gli armatori per i quali gli schiavi costituivano l’indispensabile forza motrice delle galee”. I cristiani caduti in schiavitù, popolavano a migliaia i cosiddette “bagni”, una sorta di lager (i cortili) del Nord-Africa.
Intanto a Tunisi durante l’assedio, accade un imprevisto, come in un romanzo d’avventura, i prigionieri con a capo un cavaliere di Malta, il piemontese Paolo Simeoni, rinchiuso con gli altri sventurati era riuscito a liberarsi dalle catene, liberando tutti gli altri, “si pose a capo di quella turba di disperati assetati di vendetta. Al pari di una marea umana, i galeotti trucidarono i propri carcerieri, uscirono dalle prigioni e attaccarono alle spalle la guarnigione annientandola completamente”.
Le truppe pontificie e spagnole poterono entrare nella città e Barbarossa e Sinam si salvarono per un capello. Ma basto poco tempo per tornare pienamente operativi, seminando rovine e stragi in tutto il Tirreno.
Ma Barbarossa non era solo un volgare tagliagole, ma un capo carismatico e intelligente, coadiuvato da giovani luogotenenti che faranno parlare di sé come AmuratDragut, i calabresi Occhialìe Carascosa, il siciliano baroneScipione Cicala e tanti altri rinnegati destinati a compiere una brillante carriera sotto l’insegna della mezzaluna. Infatti, scrive Petacco, “se leggiamo con attenzione le testimonianze sulle incursioni dei barbareschi nelle località costiere italiane, scopriamo che non sono quasi mai avvenute a casaccio, ma suggerite e pianificate da una ‘mente’ militare. Le loro azioni risultano spesso precedute da un’attenta raccolta di informazioni (confessioni estorte ai prigionieri o delazioni dei rinnegati) e quindi messe a punto come una moderna operazione di commando”.
Infatti in quegli anni la caccia agli infedeli (i giaurri) “era l’attività più redditizia di questi scorridori dei mari, i quali rientravano alle rispettive basi con le fuste stracariche di umanità dolente. Il famoso corsaro Dragut, per esempio, si vantava di avere rastrellato più di seimila schiavi in una sola scorreria contro la ‘lunga terra’”.
Certo dopo aver letto questi libri, si fa fatica comprendere le considerazioni di quelli come Pierangelo Buttafuoco che scelgono l’islam, pensando di essere nella tradizione del nostro Paese, anche se forse, per il giornalista siciliano, rappresenta una specie di vezzo intellettuale, come scrive il blog Qelsi.it.
Per il momento mi fermo, nel prossimo intervento racconterò meglio il dramma di quei poveri cristiani strappati alle loro case e ai loro cari, dalle coste italiane.

lunedì 12 ottobre 2015

L'itinerario di Tommaso Romano... e il viaggio continua

Nei Quaderni del sigillo Cultura, n°7, 2015 è uscita la raccolta di testi critici dedicati nel tempo a Tommaso Romano dal nostro critico, scrittore e artista Antonino Russo.

Clicca qui per leggere 

lunedì 5 ottobre 2015

AA.VV., L'essere del linguaggio, il linguaggio dell'essere a cura di Filippo Silvestri e Ivan Pozzoni (Ed. Limina Mentis)

di Andrea Mileto

È stato appena pubblicato un volume filosofico frutto di vari contributi, tutti di alto livello, pubblicato dalla Casa Editrice Limina Mentis di Villasanta (MB) www.liminamentis.com, dal titolo L'essere del linguaggio, il linguaggio dell'essere (pp.177) , a cura di Ivan Pozzoni e di Filippo Silvestri autore, quest'ultimo, di una puntuale Premessa che così, fra l'altro, efficacemente argomenta:”Sia il problema discusso in modo filosofico o diversamente la cosa sia argomentata secondo mo­di che sono caratteristici di un pensare/sentire religiosi o ancora sia la questione raccontata prestando ascolto alla letteratura, alla poesia, il problema della relazione tra Essere, Vita e Linguaggio è sempre ancora­to a ragioni banalmente economiche e pertanto esistenziali, se conside­rate in un orizzonte di studi linguistico: quanto riescono le nostre pa­role a dire la vita che viviamo? Quanto siamo liberi/prigionieri negli ordini del discorso che parliamo, che ci parlano? Quali politiche se­miotiche reggono la sintassi, la grammatica del senso da cui ci lascia­mo guidare? Ovviamente non ci sono risposte che possano risultare univoche e la differenza caleidoscopica dei saggi che sono qui raccolti almeno in parte dà conto della varietà delle repliche che sono ancora sempre possibili”.
Il volume si segnala per la ricchezza dei testi fra cui vanno segnalati gli studi di Andrea Corona su linguaggio e poesia in Heidegger; di Marco Visconti sulle radici della parola, sempre in Heidegger ; di Giorgio Pannunzio su ontologia profetica e dato linguistico in Sofocle; Enrico Volpe sull'ontologia platonica come superamento del problema linguistico nel Cratilo ; Federico Avogrado sui fondamenti dell'oggettività in Kant e in Reichenbach ; Filippo Silvestri su Peirce; Marco Ferrari sul tema Oltre la dicotomia tra soggetto e oggetto. L'ambiguità del corpo e della parola; Francesco Adragna sul silenzio filosofico; Andrea Muni su Simone Weil: spunti di filosofia del linguaggio tra filosofia dell'amicizia, dell'amore e carceraria; Ambra Bruna Circognini su “In principio era il corpo. Creatività e linguaggio in Vico".  Carmen De Stasio e Maria Patrizia Allotta, infine, si occupano di due pensatori siciliani: la prima si interessa acutamente di Vira Fabra (e del marito-compagno, lo scrittore recentemente scomparso Ignazio Apolloni) e di quella che viene definita la "struttura solida e vagante del pensiero scrittura della Fabra. Dalla struttura alla situazione".
Il testo di Maria Patrizia Allotta si sofferma ancora una volta sul pensiero letterario\ filosofico di Tommaso Romano con il titolo L'essenzialità della parola viva, "costruendo"- con una premessa biografica ampia - tratti direttamente dagli frammenti romaniani, un testo vivo e vibrante.