martedì 15 marzo 2016

Giorgina Busca Gernetti, "Echi e sussurri" (Ed. Polistampa)

di Marcello Falletti di Villafalletto




   
La vasta opera di Giorgina Busca Gernetti ha da sempre trovato spazio nelle pagine di questa nostra rubrica non esclusivamente per un mero gesto di amicizia, ma proprio per le profonde qualità di scrittrice che da sempre abbiamo riscontrato.
     Nata a Piacenza, si è laureata, con lode, in Lettere Classiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed è stata docente di Letteratura Italiana e Latina nel Liceo Classico di Gallarate (VA), dove risiede. Ha studiato, inoltre, pianoforte nel Conservatorio Musicale piacentino. Fin dall’adolescenza ha iniziato a comporre liriche e la prima pubblicazione risale al 1998.
     Questi “Echi e Sussurri” arrivano a noi dopo un lungo e consistente itinerario letterario che l’ha portata a raccogliere consensi, onori, riconoscimenti in tutta la nazione e fuori; collocandola nell’empireo dei maggiori di questi nostri ultimi tempi.
     Il corposo volume, dopo una dotta Prefazione di Marco Onofrio, diviso in cinque parti, si apre con: Fiori della notte; Alba dell’anima; proseguendo con: Seduzioni; Immagini elleniche; Il canto di Orfeo, si chiude con alcune note biografiche.
     Mi piace aprire questa recensione con quanto scritto nell’incipit della prefazione, condividendone pienamente l’assunto: «Giorgina Busca Gernetti è una “sognatrice dell’essere”; ma non si perita di appartenere anche al divenire, scandagliando le profondità nascoste dalla maschera apparente. Cerca l’eterno nel tempo, e questo è il movimento del suo sguardo: inseguendo la chioma della sua stella, affonda gli occhi in cielo e scopre l’iridescente complessità che innerva ogni atomo del mondo». Una “sognatrice”, utopista, come da sempre, appare chi scrive poesie; dove nel proprio mondo, quasi irreale, cerca di portare quelli che sanno leggere e amare ogni singolo verso: per non dire che cerca di condurvi l’umanità intera. Questo è il primo impatto con la poetica della nostra Autrice, fondato, anzi ben piantato in una profonda formazione classica che lentamente si addentra nei meandri di realtà quotidiane, rendendola attuale e presente. Da un irreale che rasenta l’onirico, lentamente traspare una viva attualità che mostra di saper conoscere e interpretare con vivo interesse; fino a trasfonderla in uno, verso questi “Echi e Sussurri” che diventano: grida e invocazioni.(Alla luna) Dimmi, candida luna / che tacita ascolti pensosa / parole di pena, d’angoscia: / qual sorte m’attende alla meta? // È lunga la strada alle spalle, / ma breve dinanzi ai miei passi. / È ormai breve, lo sento. // Non temo “quel” passo, lo sai, / mia candida vergine luna, / ma volgo la mente dubbiosa / alla sorte che afferra / chi giunge alla Soglia fatale, / senza ritorno. // Sarò foglia, ruscello, / farfalla che muta i colori / nella luce cangiante / dell’aria in un giorno d’estate? // Sarò un nulla nel Nulla? // Dimmi, pallida luna / che tutto contempli e comprendi: / oltre la Soglia permane l’angoscia / che giorni terreni avvelena? // La quiete, la pace io attendo, / il Nulla, piuttosto, nell’Oltre, / purché svanisca  quest’atra amarezza, / quest’angoscia che l’anima tormenta. Leopardiani tormenti assillano, cercando soluzioni a chimeriche attese che da sempre tormentano la mente umana: nell’illusoria speranza di ritrovarvi risposta, anche attraverso inanimate creature che affascinano, attirando con aleatoria prodigiosità.
     Una moderna ansietà pervade quasi tutto il volume, fino a trasformarsi in appassionata visione che anima: vita, persone, luoghi, miti, misteri e realtà di una peregrinazione affrontata con coraggiosa vitalità, tanto da giungere a non sperate destinazioni che, solamente un vero poeta, pur restando eterno sognatore, insegue, continuando a sperare per il resto dei suoi simili.
     (L’eterno canto di Orfeo) Ovunque è poesia. Ovunque guardi / con animo commosso ed occhio attento / al più piccolo fiore tra le pietre / sbocciato a stento, ma con vital forza / d’aprirsi un varco, d’innalzarsi al cielo, / c’è poesia fiorente intorno ai petali / come intenso profumo in primavera. // Orfeo risorto, non mai morto Orfeo. / Perenne il canto suo nella natura, / nel cielo, nelle stelle, nella luna / piena, calante, oppure nuova e tacita / nella valle, o crescente sopra i colli / come sottile falce all’orizzonte. / Ovunque è poesia. Eterno è Orfeo.
     Eterno il mito, così com’è l’astro notturno che attira, fascinosamente, l’animo sognatore di chi scopre che tutta la vita continua ad essere: costante poesia. Quella poesia che è l’essenza stessa di Giorgina Busca Gernetti che, pur addentrandosi, non più silenziosamente, in perenni quesiti, rivela esaurienti risposte. Facendolo con l’eleganza del verso elegiaco ma straordinariamente moderno, altrettanto gioioso e fortemente penetrante da farsi apprezzare fin dai primi versi.
     “Echi e sussurri” da assaporare voracemente e da ruminare lungamente; fino a scoprirne il singolare fascino di una eterna e costante melodia che avvolge ogni fibra, ridonando vigore e valore, a indiscussi sentimenti che sembrano essere, quotidianamente, scomparsi e che solamente pochi ma veri poeti, oggi, sanno affidarci. Conserviamoli come grandi tesori, non imprigionati in freddi e inanimati forzieri, ma trasfondendoli come eterno fuoco di una vitale fiamma che sembra spegnersi sempre di più.
    Giorgina fa, abilmente, del verso una condizione, un’essenza primaria, come se fosse ossigeno vitale: “…Tu, voce mia, sai dire ciò che l’animo / sente soffrendo o fremendo di gioia. […] Amica mia, restami accanto ancora / nei giorni buî del mio disinganno, / spente le vaghe illusioni di luce. / Tu,  degli affanni mia consolatrice, /  con il miele dei versi il mio dolore / lenisci e sana, mio divino farmaco. […]; ricollocando, l’arte poetica, a quel primario stato che, da sempre ha avuto, nell’animo fortemente ispirato dei grandi del nostro passato.
     «In questo libro si celebra ampiamente la potenza trasfigurante del canto, – ha, giustamente, scritto Onofrio – che il poeta non inventa a capriccio, ma raccoglie dal cuore stesso delle cose, e ascolta, e trascrive con fedeltà necessaria, come sotto dettatura, impossibilitato a fare altrimenti. La musica “nasce nell’animo” come un “soffio divino” che “sfiora labbra ridenti”. Il poeta deve abbandonarsi confidente al cuore delle cose, se vuole che esse gli porgano il cuore – per confidenza, per sovrabbondanza di energie. Chi rimane chiuso nella gabbia gelida dell’intelletto resta ognora precluso ai doni della rivelazione(pp. 12-13)».
     Non casualmente, la nostra Autrice, è anche buona musicista; per questo le sue ispirazioni godono di una singolare melodia che non resta affatto rinserrata in gelide stie, ma prorompe magistralmente verso eterogenei lidi che ne sanno conquistare e apprezzare tutto l’immenso valore.

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