mercoledì 23 marzo 2016

Vito Mauro, "La luna crollerà" (Ed. Thule)

ANSIA DI ARCANO TRASCENDENTE NELLA POESIA DI VITO MAURO

di Antonio Martorana

Se la voce della poesia è per Mario Luzi «la voce del risveglio: il risveglio dal letargo dell’assuefazione e dell’indifferenza», la silloge di Vito Mauro La luna crollerà (Palermo, Thule, 2012), vero “diario intimo” in cui confluiscono “pensieri in versi” scritti nell’arco di un quarantennio, ne è una conferma.
A provocare il “risveglio”, nel caso specifico, è una folgorazione, che, squarciando l’abisso di tenebra, svela all’Autore il mondo dell’Oltranza, suscitando in lui un’irresistibile attrazione verso il richiamo fascinoso e possente del Mistero. È come se nella sua anima venisse a cadere improvvisamente il grande velario dietro cui si nascondono la Verità e il Bene: quella Verità che, trascendendo ogni terrena dialettica, riconosce nel dogma del Verbo che si fa carne il senso meraviglioso dell’esistenza; quel Bene che, guarendo l’uomo dalla lebbra del peccato, lo guida sulla strada maestra che porta all’arcano trascendente.
La metafora del “risveglio” come riscatto e liberazione dal male mi ricorda un ispirato passo di Gaetano Giuseppe Amato, che ben si adatta a quello che è il nucleo magmatico della poetica di Vito Mauro:«Così s’accende la vita: essa non è che un risveglio magico, un levarsi dalla notte dell’eterno alla luce del tempo, l’improvviso divampare d’un rogo che s’espande in luce e calore prima di sprofondare nell’abisso della quiete. La sua durata è un batter di ciglio, una parola, un sospiro, ma in così breve arco lampeggiante realizza tutta se stessa.». (G. G. Amato, La filosofia quale propedeutica al problema teologico, Caltanissetta – Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1962, p. 15).
Quella che Joseph Margolis definisce la “specificità antologica” di un’opera, consiste qui in una visione della vita come accettazione incondizionata del supremo dogma dell’Essere. La fede si rivela viatico infallibile per venire a capo della problematicità che è l’immanente ragione del Cosmo, consentendo l’approdo all’inconoscibile quale presupposto di ogni conoscibile. Questo significa toccare il livello più alto di Conoscenza, che ci ricorda Tommaso Romano nella Prefazione, con consueta forza illocutoria, rappresenta, unitamente alla virtù,«il fulcro dell’avventura unica e irripetibile della vita.».
Nell’opera di Mauro la luce della Fede si riverbera su tutte le manifestazioni del vivere: l’amore, il sociale, il bisogno di pace, la bellezza del Creato, la ferma condanna del vacuo e dell’effimero, di tutti gli idola, che minacciano di trascinare il mondo in una deriva inarrestabile.
Volendo considerare un piccolo campione rappresentativo dei testi, colpisce il messaggio lanciato dal componimento che ha per titolo: 3.
Nella brevità della sua struttura trinaria qui viene posto l’accento sull’indissolubilità del legame tra l’esistenza di ognuno di noi, dalla nascita alla morte, con il “dogma enigmatico” della Santissima Trinità.
In Ai miei si coglie un sentimento di tenera devozione filiale da parte dell’Autore nei confronti dei genitori nella consapevolezza che in ogni momento ed in ogni luogo risplende su di essi il raggio del vivente Amore infinito.
Di una sfavillante luce di trascendenza brilla in Asterischi la “soave stella”, che, come inesauribile fonte di beatitudine trapunta i sogni del poeta.
Fiducia nell’attesa del Giudizio (Riflettendo sul Salmo 75) è una serena meditazione su come prepararsi a quell’evento ineluttabile che sarà il redderationem, quella resa dei conti che vedrà l’abbattersi della collera divina sugli empi, per punirli delle loro “sfrenate ambizioni”, dei loro “arditi pensieri” ed “avidi progetti”. È una prospettiva apocalittica (“divino terremoto”) della quale però i puri di cuore non hanno di che preoccuparsi (“mai aver paura”), perché, come si legge nel Salmo, «quando Dio si alza per giudicare» è «per salvare tutti gli umili della terra». Così «gli scampati dall’ira» potranno far festa all’Eterno Padre.
Il monito a ribellarsi al materialismo dilagante, per cui oggi sentiamo parlare di “morte della luce” e di “perdita del centro”, suona come il sibilo di un colpo di frusta sulla schiena di uomini narcotizzati dall’”avere” e dimentichi dei valori dell’”essere”.
Attraverso un rapido scorrere di coppie oppositive («non più coscienza collettiva, / ma incoscienza privata… non più poesia dello spirito, / ma materialità… non più rivoluzioni, / ma pie illusioni…», si delinea uno scenario di dissoluzione in una società abbagliata dal potere, dall’apparire, dal falso successo, «tutti elementi» commenta Tommaso Romano, «che conducono inevitabilmente all’allucinata depressione.». Da qui il perentorio invito con cui si chiude il componimento REAGIAMO.
Vito Mauro tratta i suoi temi potremmo dire con un piglio carisma oracolare che evoca il elargito ai poeti, di cui avevamo consapevolezza gli antichi vati. Georg Fohrer ricorda infatti che «a quanto sembra, nessun profeta israelita che volesse parlare in nome di Jahvè poteva trovare ascolto se non si esprimeva in versi.».
Il quadro valoriare tracciato da Mauro è fieramente contrastivo nei confronti della progrediente desertificazione dello spirito, cui oggi assistiamo sgomenti ed accende una luce di speranza, nel porci dinanzi al cogente imperativo etico di una scelta, che non può non essere quella della Bellezza salvifica. È un paradigma chiaramente riconducibile all’affinità elettiva intercorrente tra il Nostro e Tommaso Romano di cui egli è il più stretto collaboratore.
Vito Mauro rientra infatti nella folta schiera di poeti e artisti che si muovono nell’orbita avvincente della “lezione” di questo indomito e orgoglioso custode della cultura spiritualista, condividendone il principio di base al quale l’atto creativo va inteso come adempimento di un preciso dovere magisteriale: svelare la via d’accesso alla realtà più profonda dell’uomo. A ben vedere, si tratta di un impegno che è una risposta esemplare all’appello rivolto da Sua Santità Giovanni Paolo II agli artisti nella Sua lettera del 4 aprile 1999, Pasqua di Resurrezione: «la vostra arte contribuisca all’affermarsi di una bellezza autentica che, quasi riverbero dello spirito di Dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi al senso dell’eterno.».
La coscienza di ogni artista viene chiamata a riconoscere che «la bellezza è la vocazione a lui rivolta dal Creatore.». Ed ogni forma autentica d’arte, precisa Karol Wojtyla, rappresenta una «via di accesso alla realtà più profonda dell’uomo e del mondo. Come tale, essa costituisce un approccio molto lucido all’orizzonte della fede, in cui la vicenda umana trova la sua interpretazione compiuta.».
Da sempre il pensiero estetico romaniano ha sostenuto quei principi che hanno trovato una sintetica ed esaustiva sistemazione nella lettera pasquale di San Giovanni Paolo II del 4 aprile 1999.
Potremmo dire che uno dei punti cardine di detto pensiero è l’importanza attribuita alla coincidenza dell’intuizione poetica con l’intuizione mistica.
Quest’ultima segna, rivela Gaetano Giuseppe Amato, «l’inspiegabile e miracolosa liberazione dell’uomo dall’impaccio dei sensi, con la conseguente impossibilità di trovare nell’espressione sensibile i termini adeguati a rivelarsi all’umana intelligenza  ciò, tuttavia, non ha impedito che i misteri di tutti i tempi tentassero di tradurre nella loro lingua le esperienze dell’anima con espressioni prese in prestito alla poesia»(op. cit, p. 230).
L’accostamento di intuizione poetica ed intuizione mistica, perseguito da Romano e dagli autori che ne seguono il magistero, come momento apicale del processo creativo, mi ricorda il connubio tra preghiera e poesia di cui parla Henri Bremond nel suo famoso saggio del 1926, Prière ed poèsie (tr, it., Preghiera e poesia, Milano, 1983).
Quanto detto ritengo possa offrire la più adeguata chiave di lettura per cogliere il messaggio contenuto nella silloge La luna crollerà.

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