venerdì 1 aprile 2016

Imperia Tognacci, "Là, dove pioveva la manna" (ed. Laterza)

di Sandra Guddo

Il deserto che lentamente ma inesorabilmente si allarga è la metafora esistenziale che la nostra poetessa Imperia Tognacci utilizza sapientemente per raccontare l’attuale condizione di una società che, lentamente ma inesorabilmente, copre  l’autentico Sé, fondante della propria essenza, che appare sempre più travolto da una società dentro la quale l’individuo si affanna a rincorrere l’effimero, il vago, l’illusione ed il piacere strumentale piuttosto che l’estasi dell’anima e la sacralità del nostro vivere, attraverso il continuo e logorante processo di omologazione, di disconoscimento di negazione dove tutto diventa banale e commerciale.
Il deserto viene presentato in questo viaggio in terre antiche, cariche di storia e di simboli, come un luogo di mistica bellezza attraversato dagli echi lontani delle carovane dei nomadi, dal soffio del vento che, durante le violente tempeste di sabbia, diventa ululato, dalla voce del muezzin che dall’alto del minareto, esorta i fedeli alla preghiera, dalla voce della natura nel suo insieme che ora si fa canto di uccelli, ora diventa il mormorio del grano accarezzato da un vento leggero, ora lo scroscio delle acque pure delle sorgenti.
Ma il turista sembra non accorgersi della meraviglia che lo circonda, interessato più a visitare i centri commerciali e a scattare foto – ricordo, nei luoghi più noti limitandosi a “ vedere” più che ad osservare in profondità e a scoprire il fascino segreto dei luoghi visitati. E’ necessario, ribadisce Imperia Tognazzi, diventare viaggiatori consapevoli che si soffermano ad osservare i paesaggi e a coglierne tutte le vibrazioni .
Come scrive Marcel Proust, per conoscere non importa viaggiare alla scoperta di nuovi luoghi ma occorre avere nuovi occhi per osservare ciò che ci circonda. Soltanto se si guarda con occhi nuovi è possibile superare la noia della quotidianità con il fardello della routine e la banalità del già visto. In soccorso ci può venire incontro, come ultima speranza, la poesia che ci aiuta a superare le “ fatue consuetudini “ , le “ stalattiti di abitudini “ cristallizzate “ dalla solita goccia “.
Ecco allora la necessità di costruire un ponte ideale tra la poetessa ed i suoi lettori, attraverso il quale poter affrontare , in un coinvolgente dialogo, i temi esistenziali più profondi che si concretizzano in domande che l’uomo si è sempre posto, fin dalla notte dei tempi:  che senso ha questo ininterrotto viaggio in cui morte e vita si alternano e “ dove ricercare la verità che illumina e unisce o fa fiorire il deserto dell’anima ? “
 Imperia Tognacci dunque ricerca non un soliloquio sterile e senza confronto ma un dialogo aperto all’altro e riesce egregiamente in tale arduo compito grazie ai suoi componimenti poetici espressi in versi liberi, formalmente molto vicini alla ballata. Versi che mantengono un ritmo lento e cadenzato riconducibile alla presenza di parole con dialèfe che risultano armoniose, piene di grazia e di leggerezza anche grazie all’uso di allitterazioni e di assonanze che assicurano una certa musicalità .
Versi che coinvolgono ed invitano il lettore nella sua totalità al punto che, di fronte ad essi, egli ha la netta sensazione di doversi porre come  “ attimo di eternità “ ,  parte di una retta infinita che comprende il Tutto, un punto fermo e reale che acquisisce la consapevolezza della sua essenza.
Il deserto così come il viaggio, altro tema caro alla nostra poetessa, non perdono mai la loro valenza denotativa pur acquistando anche la valenza connotativa attraverso un linguaggio lirico colto e raffinato, intimo ed universale, atto a cogliere l’essenzialità più che la banalità.
In quelle terre mediorientali dove la poetessa è realmente stata in viaggio, la Giordania e l’antica città di Aquaba, inizia un viaggio anche spirituale che tutti dovrebbero compiere per non rischiare che la nostra ragione diventi “ Inutile pietra “ ma strumento di indagine che ci metta in comunicazione con il  “ Verbo “ .
 Sarebbe stato facile, per il viaggiatore, perdersi durante le tempeste di sabbia nel deserto oppure rimanere accecato, sotto il sole rovente, o smarrirsi nelle le tende dei carovanieri piene di ombre scure e di sagome sfuggenti tra “ le spirali di fumo dei narghilè “. Ma il desiderio di raggiungere l’oasi verde e rassicurante, piena di vita e che dà la vita è stato più forte di ogni pericolo, di qualsiasi fatica e tentazione: l’importante è stato non perdere la rotta e seguire la via che millenni prima hanno seguito profeti indiani seguendo la stella cometa che li avrebbe condotti infine a destinazione.
Fuori dalla metafora, l’ individuo, simile ai re magi, sorretto anche dalla forza spirituale della poesia, va alla ricerca del proprio Sé fondante che, sfidando i limiti della ragione,  si costruisce “ ali di cera “ con cui spiccare il volo e , sfidando tutte le leggi della gravità, cerca nella sfida contro il tempo cronologico quell’attimo di eternità , proprio “ là dove pioveva la manna. “

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