domenica 22 maggio 2016

Serena Lao, "Note di parole" (Ed. Thule)

di Maria Elena Mignosi Picone

Dopo la prima silloge di poesie in dialetto siciliano, “Cantu la libbertà ca m’apparteni”, Serena Lao, artista poliedrica: poetessa, romanziera, cantante, attrice e, come ella stessa si definisce “cantastorie della modernità, ci offre un’altra silloge di poesie, questa volta in italiano, dal titolo “Note di parole”. Diversa è questa dalla prima, in quanto maggiormente rivolta alla interiorità, più spirituale diciamo, ma che rivela una certa continuità con la precedente, nell’elemento a lei tanto caro, e che persegue con tanto ardore, la libertà. Dice infatti qui: “La libertà dell’anima la inseguo senza tregua”.
Su questo filo la poetessa imbastisce e riflette i vari moti dell’animo, i suoi impulsi, i suoi fremiti, addentrandosi in profondità nei meandri dello spirito, seguendone l’evoluzione, la crescita, la purificazione fino a che le parole, con cui esprime tutto ciò, si fanno esse stesse note, diventano musica  perché l’anima, nella libertà ritrovata, canta.
È un processo di rigenerazione che l’Autrice segue, nel quale ogni essere umano si può rispecchiare, perché è proprio dell’uomo avvertire in sé la pesantezza della terra, se così possiamo dire, per liberarsene e raggiungere vette di alta spiritualità. Serena Lao, palermitana, dal suo “angolo di mondo” fatto di “Cime lontane di monti boschivi… Castello Utveggio di sera illuminato appollaiato… sul promontorio di Monte Pellegrino… Tegole rosse logorate dal tempo…”, dal suo “angolo di mondo”, che le consente di osservare cose che le rievocano l’ambiente della sua infanzia, cioè il caratteristico quartiere popolare di Ballarò, da lì rivive sensazioni passate: “E perdersi in suggestioni antiche / di autunni caldarroste e bancarelle… sgranare gli occhi come una bambina / scrutando i mille colori dei fuochi artificiali”. Colori, suoni, sapori, l’accompagnano sempre nella sua vita, li porterà sempre dentro di sé. La copertina stessa del libro richiama il suo luogo di origine con la fruttiera di mele rosse e gialle, e la figura di una donna popolana che suona la chitarra, in uno sfondo dove risaltano il colore rosso cupo e il giallo ocra. È un dipinto del pittore Franco Lo Cascio che ben rievoca Serena Lao di Ballarò, e ce la presenta nella sua peculiarità.
Ballarò Ella lo porta dentro il cuore. Ma soprattutto dal suo “angolo di mondo” osserva: “Ora un raggio di sole tiepido si posa / sul mandorlo appena appena in fiore” e continua: “Una pianta di fresia qui sul davanzale / con il suo profumo intenso ed inebriante / annunzierà l’arrivo della primavera”. Ecco la primavera. Così è intitolata un’altra poesia, tra le prime della silloge. “La natura lentamente / si desta  dal lungo letargo. / Tra poco odori e colori inebrianti / invaderanno i sensi… Il cuore si schiude a nuove promesse”. E in questa stagione il pensiero di Serena Lao non può non andare ad una presenza che è stata determinante per la sua vita artistica, Rosa Balistreri - nata il 21 marzo, primo giorno di primavera - “il mio pensiero va a te / parto riuscito della bella stagione / essenza bizzarra e fantasiosa / miscuglio di audacia e di passione”. Versi sentiti e delicati continua a rivolgerle: “a chi del tuo canto non può fare a meno / regali voli pindarici e armonie stridenti” aggiungendo: “La tua voce inonda l’aria con il suo richiamo / seducendo come sirena incantatrice… come fiore con il suo profumo / come Rosa che di tutte rose sei regina”.
Non a caso una particolare attenzione è rivolta da Serena Lao alla Primavera. Perché la Primavera, che è la stagione del risveglio, la poetessa la fa assurgere a simbolo del risveglio dell’anima. Diventa metafora della rinascita spirituale.
Nella poesia “Nei labirinti dell’ignoto”, che apre la silloge, quasi un proclama vi troviamo: “… mi ritrovo immersa nella profondità dell’animo /… libera mi smarrisco / nei dedali arcani della mente” e nella poesia che immediatamente segue, dal titolo “Amo”, confessa: “Amo / la mia amata solitudine / ... dove immergermi /  e purificarmi… riscoprendo interiorità… / Amo /  i risvegli silenziosi …/ Amo / i lunghi soliloqui a tu per tu / con il mio io profondo”.
Solitudine, silenzio favoriscono la vita interiore e in questi la poetessa si distende beata: “Finalmente posso sentirmi libera”.
Ma perché Serena Lao cerca tutto questo? Per una finalità ben precisa: “… per restituire allo spirito inquieto / il primordiale equilibrio a lungo cercato”. È questo oggi il suo ideale di vita che nel travagliato percorso terreno ha tanto perseguito ma invano: “Ti ho cercato nelle parole della gente / nell’espressione di due occhi… Ti ho cercato tra i petali di un fiore… Ti ho cercato fuori e dentro di me. / Ho speso la mia vita inutilmente. / Io… non  ti ho trovato mai!” Della felicità a lungo cercata afferma nella poesia “Meteora”: “La felicità / è un alito di vento / … È una piacevole ebbrezza / edificata sull’effimero /… offrendo l’abbaglio dell’eterno / ingannevole prospettiva / di mendace verità”.
La poetessa ora non si contenta più. Aspira ad altro. “… rincorro i segni / di un mutamento radicale… / anelando a una catarsi”, come afferma nella poesia “Inquietudine”. Ecco la primavera dell’anima. “Risvegli dell’anima / in un mattino assolato / nuova linfa e nuove energie / danno la giusta traiettoria”. In “Suggestioni” leggiamo: “… riaffiorano svelando concetti e visioni / profumi lontani e suoni di ciaramelle. / Girandole di emozioni ruotano vorticosamente / e si confondono eccitando l’inconscio. / Emergono inattese suggestioni / che in un tripudio di suoni e canzoni / allontanano dal baratro della morte / e offrono in dono l’eternità”.
Ecco, è questo il suo ideale di ora, non terreno, ma un ideale che abbia sapore di vita eterna. Sapore di verità, di amore. In “Itinerari dell’inconscio afferma: “Il sogno / complice di un’insolita realtà / verrà incontro / per svelare misteri mai svelati. / L’atomo piccolo e lontano / crescerà a dismisura / e lasciando la sua materia / attraverserà leggero / le porte dell’infinito”. Ecco, il senso dell’infinito si accompagna a questa ricerca di verità, di elevazione. In “Sogni”: “…fioriscono in te fiduciosi presagi / di un futuro intessuto di nuovi colori”.
Inoltre profonda è la sofferenza di Serena Lao nel constatare che la libertà, specialmente dello spirito, quella interiore, viene conculcata nell’annullamento della volontà a causa della violenza, dell’oppressione: “Come una marionetta nella tue mani… / Come una bambola inanimata e muta / me ne sto nel mio cantuccio di dolore”. Il simbolo poi dell’essere umano annichilito nell’anima sembra essere Charlot, “omino buffo dall’andamento tremulo / … dallo sguardo stralunato / … Pagliaccio senz’anima”. Quando la volontà è repressa, qualunque ne sia il motivo, l’anima, costituita da intelligenza e volontà, è spenta. L’uomo è morto. Anche se vive.
Così capita pure a quelle persone affette da disagi psichici, nelle quali lo spirito d’iniziativa, la decisione, sono spenti. In “Angelo” la poetessa scrive: “Vorrei attraversare i tuoi pensieri / smarriti alla naturale conoscenza / e vaganti in labirinti ovattati e bui / per cercare l’origine di quel torpore / che rende identiche le tue giornate”. O in “Extrema ratio” “freddo nelle ossa / vuoti mentali / la tenebra mi avvolge / in un abbraccio fatale / che mi trascina / in un gorgo profondo”.
La sofferenza della poetessa, animo sensibile e delicato, capace di compenetrarsi a fondo nel dolore altrui, si fa acre e pungente di fronte alla violenza sulla donna, che diventa minacciosa per la vita stessa. In “Vortice insano” troviamo queste parole: “… le mie fragili illusioni / … contrapposte all’assillo giornaliero /della ferocia dei tuoi gesti / riservati a me” e continua: “Il tuo sentimento malato ormai trasuda di quella violenza selvaggia malcelata / che si camuffa sotto la definizione impropria / della parola abusata e profanata amore”. E questa è la situazione atroce della donna che così vive: “Convivo con la paura di un tuo atto insano / … consapevole del rischio a cui mi sottopongo”. E quel che è veramente assurdo: “Un luccichio squarcia il velo nero della notte / mentre stai per infliggermi l’assurda punizione / per la mia sola ed unica colpa di avere amato te”. Ancora in “Piccolo uomo” la figura dell’individuo alienato diviene protagonista dei suoi versi: “… il tuo sguardo sospeso e assente /… io e te piccolo uomo di galassie lontane. / L’incomunicabilità del pensiero / costruisce eterne inaccessibili barriere / e allontana qualsiasi forma d’intesa”. Il mancato esercizio della libertà, o per cause estrinseche come per mano di altri, o per cause intrinseche cioè per difetti di costituzione, rende isolati dagli altri, o quantomeno blocca quel processo di interscambio di idee, di pensieri, sentimenti, inficiando le relazioni con i propri simili, che risultano perciò innaturali, fredde e vuote.
Serena ama a tal punto la libertà (e parliamo qui specialmente di quella interiore), che è causa di afflizione profonda per lei il vederla violata, spenta e repressa. In “Perché” leggiamo: “Angelo e demone / in perenne conflitto / tra intesa e squilibrio /… Il tuo alito vitale / non applica volontà / … E ti smarrisci a cercare te stesso / nell’intreccio di umane follie”.
Quando nell’uomo la volontà è spenta, e di conseguenza la libertà è repressa - non morta perché essa nasce e muore con lui -  solo allora l’uomo è morto. E allora è proprio da qui che prende l’avvio il processo di rigenerazione, di rinascita di un essere umano per potersi dire veramente persona.
La persona, infatti, è libera, è vivida; è aperta agli altri, pronta a vivere la vita in pienezza, nell’amore verso se stessa e verso chi la circonda.
Ed è questo che Serena Lao si prefigge in “Note di parole”: la rinascita della persona, dalla morte alla vita, partendo dalla rigenerazione dell’anima.
E come negli altri così in sé. Questo vale per la stessa poetessa. Perché tutti, chi per un motivo chi per un altro, chi più chi meno, ne abbiamo bisogno.
Ecco allora entriamo nel vivo dell’opera. “La catarsi è arrivata / dolce improvvisa / malinconica quieta. / Tutto ha un senso ora. Anche il buio”.
La catarsi. La rigenerazione. La freschezza. La vitalità dell’anima. “Fioriscono in te fiduciosi presagi / di un futuro intessuto di nuovi colori / allora ti fermi a pensare al domani / ma il domani è già qui con il tuo presente / cosparso di giorni da vivere e da scoprire”. “Parole parole… Ora che tutto tace… / il mondo lo guardi da supreme alture / e sgombro da inutili fardelli / puoi finalmente librarti / nell’aria tersa / conquistando  una libertà /  mai conosciuta”. E aggiunge: “Una luce improvvisa / offre positive attese / al domani incipiente / rischiarando sogni e pensieri” e continua: “avida di stimolanti emozioni / amo la vita e i suoi giorni mai eguali. / Accolgo con un sorriso /  il giorno che nasce / e fiduciosa mi aggrappo / a possibili nuovi risvolti / che schiudano le porte  / a un’autentica rigenerazione”. E ribadisce: “La libertà dell’anima / la inseguo senza tregua / cercando redenzione”. Ecco è qui il punto centrale di tutta l’opera. Il nucleo. La ricerca cioè della redenzione a  partire dal risveglio della libertà.
“Parole parole…” È da qui che anche le parole si ravvivano, acquisiscono un nuovo suono, vibrano di vitalità. Si fanno frementi e vibranti, si fanno suono, musica, note. Perché la libertà si è risvegliata. La redenzione è in atto. “… evoluti percorsi / che conducano verso / un’immortale profondità”.
L’infinito, l’eterno, si fanno strada nell’animo di Serena Lao. Il senso. Il mistero dell’aldilà l’attrae e si chiede: “… chissà cosa c’è al di là del cielo”. Il suo pensiero si dilata nello spazio, nel tempo e oltre il tempo.
Corre all’infinito. “Finalmente posso sentirmi / libera e parte integrante / dell’infinito / e percepire la Tua Presenza”.
Qui si acquieta la sua anima: “E là dove tutto ha origine e tutto finisce / in una sequenza di ineffabili proiezioni / darò tregua al faticoso peregrinare / per restituire allo spirito inquieto / il primordiale equilibrio a lungo cercato”. “Scalerò alture impervie  / per giungere poi sulla vetta”.
Serena Lao crede nella rinascita, e così la speranza, l’alba di un nuovo giorno riaffiorano in lei. “Ma l’uomo rinasce ogni dì / riedificando l’istante / l’alba segna il confine / tra il bene e il male / le barriere si infrangono / tra varchi di attuabili mete”.
Bellissima la certezza, la sicurezza, la fiducia, nella rigenerazione che alla fine si esplica nel suo trionfo con l’annientamento della paura. “Un giorno / saluterò il Creato e me ne andrò. / … percorrerò spazi e universi ignoti / che mi riconducano all’origine del bene / dove sperare non è solo utopia / e non avrò paura” e continua “E scruterò l’incanto di eterne primavere / l’alba sarà un tutt’uno col tramonto / le tenebre non scenderanno mai / e non avrò paura”. E conclude “Quel giorno / finalmente sarò libera / e non avrò più paura!”
La paura infatti è connessa alla mancanza di libertà. Nell’acquisizione piena della libertà la paura scompare, cessa del tutto. Ma noi crediamo che Serena Lao, nel momento in cui dice “Un giorno”, però tutto questo lo stia vivendo sin da ora, magari certamente con la limitatezza delle cose della terra. Crediamo che la paura non ce l’abbia più sin da ora. La rigenerazione infatti è in atto. Ella afferma: “La catarsi è arrivata”. La primavera è fiorita.
Quell’anelito al nuovo, al risveglio, ha trovato il suo sbocco. L’anima canta. Le parole si fanno musica, le sillabe vibrano di melodia. Tutto è diventato: “Note di parole”!
Ora, passando ad esaminare la sua opera sotto l’aspetto stilistico, notiamo che Serena Lao, anche quando si riferisca non a sé ma ad altri, ama spesso esporre tutto in prima persona. Ella infatti, se ad esempio canta di santa Rosalia,  vi si impersona totalmente, espone i fatti come se fosse la protagonista della storia. C’è una immedesimazione completa. Ora l’uso che ne fa Serena Lao in poesia, discostandosi dagli altri poeti, che non usano così, della prima persona, immedesimandosi nel personaggio in questione, ci testimonia della vera essenza di Serena Lao, che è quella della cantastorie. Allora possiamo affermare che ella non è un’artista poliedrica, o quantomeno lo è solo apparentemente, perché poliedrico è colui che è scienziato, ed è pure pittore, poeta, ma in lui ogni arte non ha niente a che vedere con l’altra, sono come dei compartimenti-stagno. Non è così per la nostra autrice, in cui l’essere poetessa, romanziera, cantante, attrice, confluiscono tutti nella figura della cantastorie, perché la cantastorie è nel contempo e poetessa, e romanziera, e cantante e attrice. Dunque Serena Lao non è un’artista poliedrica, è unitaria. È la cantastorie nel senso più nobile del termine. E non riesco a comprendere perché l’arte del cantastorie talvolta venga considerata da taluni un’arte minore, quando il cantastorie ha invece qualcosa in più del semplice poeta o scrittore. Ha il canto e ha l’arte drammatica. È dotato di voce, come in Serena Lao, voce calda e vellutata dal timbro inconfondibile, una voce unica, di giusta intonazione e ancora ricca di pathos, pathos in lei, in particolare, suscitato e alimentato dall’essere nata a Ballarò, e anche questo è segno della sua direi proprio “vocazione” a fare la cantastorie. E vorrei azzardare una ipotesi: forse Serena Lao ha la missione di nobilitare l’arte del cantastorie, e attraverso questa anche edificare la gente, perché l’arte nobilita l’uomo. Così io vedo Serena Lao: con le braccia spalancate, librarsi possente nella sua figura, tra i rioni della vecchia Palermo, mentre la sua voce si diffonde nell’aria a scuotere gli animi assopiti e stanchi. Sarà un sogno? Chissà! A lei la decisione.
Ma sarebbe l’onore della nostra città. Serena Lao, la Cantastorie di Palermo!

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