martedì 27 settembre 2016

Francesca Buzzotta, "La certezza dell’immortalità" (Ed. L'Erudita)

di Maria Patrizia Allotta

   
 Tutte le storie d’amore autentiche sono belle. Certo, molte nell’arco del tempo inevitabilmente si dissolvono come neve al sole, altre, invece, rimangono eterne nella storia dell’umanità come rocce inscalfibili, magari perché capaci di accarezzare l’anima, rinvigorire lo spirito, lasciare un segno indelebile nel cuore e nella mente di chi ne viene a conoscenza.
   La storia d’amore, per esempio, di Veronica Palermo e di Giorgio Emanuele Di Giovanni - romanzata magistralmente da Francesca Buzzotta nella sua prima opera dal titolo La certezza dell’immortalità, edita dalla casa editrice L’Erudita - per la sua esclusività ha mantenuto intatto il suo significato, il suo senso, la sua ragion d’essere.
   Le vicende dei due amanti si snodano attraverso precise coordinate spazio-temporali caratterizzate da ambientazioni tipicamente mediterranee appartenenti, più precisamente, alla realtà storica della Sicilia contadina dell’Unità d’Italia che vede nella piana Archiepiscopatus Montis Regalis e, soprattutto, presso la  Quercia dei viceré il naturale palcoscenico dell’agire dei protagonisti i quali pur muovendosi in una dimensione soggettiva, personale, intima, danno vita ad un tappeto musivo sociale e collettivo che inevitabilmente riconduce ora all’esclusiva ricchezza etno-antropologica - fatta d’intimi affetti, riti bizantini, splendidi usi, rari costumi, sacre credenze - di quella che fu dell’attuale Piana dei Greci, attuale Piana degli Albanesi, ora allo squallore, alla meschinità e alla grettezza di una porzione di quella umanità che essendo presa da una visione paralizzante della vita spende l’intera esistenza tra, rancori e invidia, violenza e odio, dolore e morte.
  Infatti, l’Autrice - che appare totalmente disinteressata dall’abbaglio delle voghe dotte ma artefatte, distante dalla furbizia degli infingimenti letterari e lontana da ogni sagoma d’intimismo fine a sé stesso - attraverso un linguaggio chiaro e immediato, sostanzialmente semplice ma incisivo, libero da costrutti baroccheggianti, da banali concessioni alla ridondanza e dall’effimera arte retorica, supportato, invece, da ricerche oggettivamente attendibili ed esplicative che illuminano la storia e la rendono verace, nel raccontare l’odissea di Nica e Giorgio dà vita a un nobilissimo chiaroscuro dove lucentezza e tenebre, gioie e dolori, evocazioni e Mistero, vita e morte si alternano in una visione totalizzante capace di echeggiare non solo infiniti spazi e interminabili tempi ma anche - al di là dell’odio - la forza prorompente dell’amore che in quanto tale se “tenuto costantemente accesso conduce con certezza all’immortalità”.
    E in effetti, è tra le nobili figure femminili e le umili e oneste popolane, tra le autentiche arbërëshe e le volgari comari, tra proprietari e contadini, ricchi e poveri, signori e delinquenti, galantuomini e mafiosi, che nasce, accresce e trionfa un’indicibile passione tra Nica e Giorgio, due anime essenzialmente diverse ma rese identiche da quel prodigioso pneuma vitale che solo il vero bene può sostanziare.   
   Nica - appartenente ad una modesta famiglia di braccianti, bella e giovane, vigorosa e libera,  esuberante ed istintiva “ (…) testarda come un mulo e scalpitante come una puledra”, educata ai veri valori esistenziali e naturalmente protesa verso le alte virtù - senza neppure volerlo, con la sua semplice e naturale armonia rapisce Giorgio - figlio del padrone di una azienda agricola, nobile, maturo, possente, conoscitore della differenza tra le effimere attrazioni fisiche e le durature passioni affettive, ardito e coraggioso - il quale, libero da ogni inutile pregiudizio sociale e svincolato da ogni paralizzante stereotipo collettivo, si perde in quell’amore tanto difficile e complesso quanto necessario e insostituibile che neanche la morte potrà annullare.
   E in effetti, dopo mille vicissitudini, Giorgio muore per mano mafiosa ma nulla cambia per Nica perché “ (…) quando due esseri, due persone, si sono amati profondamente, al punto da far coincidere la propria sfera affettiva - la percezione delle sensazioni e delle emozioni è così amplificata che provano dolore e gioia insieme, la lontananza è vissuta come un abbandono e sentono che nessuno potrà dargli mai quelle emozioni che hanno provato l’un l’altro - con quella sensuale l’esplosione millimetrica dei loro corpi coinvolge tutti e cinque i sensi, vivono dell’odore della pelle del partner, e del suo fiato per respirare, allora  nella coppia c’è Alchimia”, e l’Alchimia come ápeiron rimane in eterno nei cuori autenticamente innamorati.  
   Ciò che è giusto sottolineare è che la straordinarietà della famiglia Di Giovanni coincide con la straordinarietà della Scrittrice palermitana la quale, presa dalla voglia di raccontare le vicissitudini personali di una sua antenata, non soltanto riferisce il tormento di due anime esclusive ed inseparabili quali quelle di Nica e Giorgio ma, in buona sostanza, espone le vicende politiche ed economiche di quell’Italia meridionale tormentata e mortificata allor quando, nonostante gli audaci ma rari atteggiamenti libertari e rivoluzionari, di fatto, i  “puvireddi arristaru puvireddi”.
     Ma non è tutto.
     La dimensione pedagogica - sottile ma costantemente presente nelle 163 pagine che compongono il testo - oltre ad inneggiare il valore assoluto dell’amore celebrato come unica vera arma per sconfiggere ogni male, si muove anche in altre direzioni.
  Infatti, l’enunciazione educativa di stampo platonico circa l’immortalità dell’anima; la rivalutazione dell’insegnamento oraziano del carpe diem ovvero del “sapere cogliere l’attimo, vivere quel momento, intensamente, senza pensare al dopo”; l’edificante sapienza eraclitea della “lotta per una giusta causa” e del “prendere di più da sé stessi”, senza mai arrendersi e senza mai scendere a patti e compromessi con nessuno; l’addottrinamento filosofico a discapito di ogni forma di volgarità, scetticismo e nichilismo tanto caro a Nietzsche, secondo il quale “Chi ha un perché per vivere sopporta ogni come”; e ancora, la teoria leopardiana circa l’importanza delle rimembranze, dei ricordi, delle memorie che reggono e inteneriscono lo spirito e, infine, l’insuperabile lezione di vita di Haidegger che si concentra nel “dover esserci lasciando un segno ai posteri”, sono tutte istanze pedagogiche presenti all’interno del libro che rappresenta un prezioso dono per le nuove generazioni ormai lontane, purtroppo, da certi valori esistenziali.    
  Francesca Buzzotta, dunque, grazie a Nica e Giorgio, attraverso l’edificante parola scritta, viva e autentica, forse inconsapevolmente, combatte il nichilismo, celebra la dignità, festeggia la memoria, proclama la libertà, inneggia l’amore e lascia un segno con il suo esserci.    

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