venerdì 13 gennaio 2017

Pubblichiamo la prefazione di Annamaria Amitrano al libro di Angelo Lo Piccolo, "Origini e sviluppo delle Balestrate palermitane nel Golfo di Castellamare" (Ed. Thule)

Questo volume, Origine e sviluppo delle balestrate palermitane, è un viaggio attraverso la storia di Balestrate. Un vero e proprio omaggio che Angelo Lo Piccolo rende alla sua città natale ricercando uno specioso articolato di trame tra toponimi, documenti, testimonianze, per entrare nel “vivo” del territorio. L’intento è quello di sfatare l'idolum di un paese, Balestrate, storicamente recente, venuto su un po’ casualmente, per evoluzione, ma privo di radici.
Insediamento “di flusso”, senza profilo, che segue un codice di sopravvivenza in relazione alle risorse di contesto; e così nel ritmo delle dominazioni che hanno calcato il suolo dell’Isola.
Peraltro i documenti di Archivio che attestano la Storia del Paese si annodano interno alla data del 1307, allorché il re Federico di Aragona con editto decreta che «quantum a litore maris infra terram jactum balistae protenderit...» debba ricadere sotto la sua sovranità, decreta cioè che sia definito sotto il suo potere tutto il territorio costiero compreso da un immaginario tiro di balestra scoccato dal bagnasciuga.
È la nascita delle “terre delle balestrate” anche se va detto che, con il passare del tempo, tale denominazione si riduce ad indicare solamente il tratto di costa chiuso tra i torrenti San Cataldo e Calatubo, quest’ultimo al limite occidentale dell’attuale provincia di Palermo.
Dicono i documenti che queste “terre” furono di diritto regale fino al 1456 allorché, con un altro decreto, Re Alfonso il Magnanimo ne fece dono al suo camerlengo Nicolò Leonfante.
Quindi sono passati di mano in mano, di famiglia in famiglia: in possesso di un ceto benestante potente e talvolta strapotente, in grado di assicurare al territorio sviluppo economico, progresso e crescita demografica.
Nel 1800 Balestrate conta già numerosi abitanti. Famiglie emergenti in quel tempo erano quelle dei Graffeo e dei Gesugrande; e sarà proprio un componente di quest’ultima famiglia, Don Paolino Gesugrande, che nel contesto di un paese divenuto sempre più prospero, si farà primo portatore di una esigenza autonomistica: liberarsi della “soggezione” ecclesiastica e civile della vicina Partinico, il cui clero peraltro, imponeva la consegna delle “primizie”.
Il 29 marzo 1820 il re Ferdinando I di Borbone delibera che le due borgate di Sicciara e Trappeto siano riunite in un solo Comune con la denominazione di Balestrate.
Dacché la sua ascesa fino all’oggi: cittadina ridente con buone risorse in agricoltura (in specie vinicola); con una flotta peschereccia di piccolo cabotaggio (in specie per il pesce azzurro); e una recente vocazione turistica, in continua crescita, legata al suo magnifico litorale.
Fin qui in sintesi, il tracciato della Storia ufficiale.
Ma prima del 1307?
Non bisogna dimenticare che Angelo Lo Piccolo affronta questa “immane fatica” proprio per colmare un vuoto; e, in un certo senso, per destabilizzare una annotazione - per lui infondata - che Sicciara, la borgata da cui, per tradizione, discende Balestrate, debba la sua denominazione alla cospicua presenza nel suo mare di “sicce” cioè a dire di seppie. Una interpretazione, peraltro, dovuta proprio all’eminenza grigia del territorio balestratese, quel Filippo Evola, Rettore, uomo di chiesa e di lettere, che ha fatto di tutto per dare adeguata fama al suo paese di nascita.
Orbene: Lo Piccolo fa discendere Sicciara dal termine “Secchiaria”; denominazione riferita - come del resto conferma la sua diffusione nell’area culturale di riferimento - ad una architettura idraulica finalizzata al sollevamento delle acque per l'irrigazione ideata e realizzata dagli arabi.
Dunque un nomen, segno antropologico, che riporta inequivocabilmente, alla certezza di un insediamento; ma fatto, ancora più importante, che storicizza una tappa del suo divenire.
Quale? Quando?
Sicciara ci dice Angelo Lo Piccolo, sorge a sinistra di Calatacupone toponimo di un promontorio in cui era un torrione di difesa militare bizantina.
Orbene nella sua ricostruzione storica, ampiamente circostanziata, Calatacupone diviene, il centro da cui parte un sito abitativo, in espansione, grazie alla presenza delle famiglie dei soldati. Si costituisce, così, interno ad esso uma comunità siculo-bizantina; e successivamente, in seguito all’immigrazione arabo- musulmana e al meticciato inevitabile, tale comunità darà vita ad un ceppo autoctono siculo-arabo territorialmente definibile nella sua novità; tanto più che, grazie al conseguente sincretismo culturale, si profilerà un momento aureo per la tecnica, l'economia, i prodotti, cioè per l’insieme delle risorse di terra e di mare, presenti nel territorio, sottoposto alla dominazione araba della Sicilia.
In sintesi, dunque, - secondo Fautore - la matrice identitaria della antica Balestrate trova seme in Calatacupone: una antichità che - come egli scrive nella prefazione - accanto al Castello, scopre il Casale e il modesto cauponhim; e scopre una comunità fatta da “povera gente”, invisibile per la Storia ufficiale, che però, diviene e si trasforma dando continuità alla catena generazionale e spessore al suo percorso individuante.
È la Storia di Angelo Lo Piccolo “nuova” che permette di indicare come da un “non luogo” quale l'apparecchiata improduttiva si sia potuto generare un habitat. E dal momento che da storico egli non vuole rimanere chiuso nel recinto minimalista della storia locale, con sapienza, ecco che dà ampio respiro alla sua stesura critica, legando la Storia del popolo di Calatacupone e della Sicchieria, vuoi a quella di Palermo nel cui contesto prevalentemente si esprime, vuoi a quella della Sicilia tutta, nel transito di Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, e così via... attraverso il Feudalesimo dei Grandi: la chiesa e il Regno; sicché poco importa se Calatacupone sparirà dispersa dalla crisi che tra trecento e quattrocento investirà la Val di Mazara. Le “terre delle balestrate” grazie al lavoro di Angelo Lo Piccolo hanno ritrovato quel precedente storico fino a questo momento sotteso ma non dimostrato.
Infine qualche notazione sul metodo con cui è stata improntata la ricerca. Quel metodo etnostorico codificato dalla sperimentazione di Aurelio Rigoli senza il quale non si sarebbe potuto dare qualità scientifica ad una analisi fondata, in mancanza dei riscontri di archivio, principalmente sulle etnofonti: cioè a dire sia le fonti storiografiche orali, sia le altre fonti codificate dalla tradizione.
Quindi una molteplicità complessa e articolata di fonti e etnofonti dallo storico e storiografico scovate, ricercate e, laddove è stato possibile, comparata con la certezza delle Fonti d’archivio: lavoro quest’ultimo non certo facile dovendosi operare - nota l'autore - all’archivio Diocesano mazarese!
Dunque Origine e Sviluppo delle Balestrate palermitane è un opera etnostorica che ha saputo intrecciare nell’obbiettivo di una sintesi tra Storia e Cultura, la Storia Regia con la Storia locale dando, anche, giusta eco ai fatti che la Storia ufficiale giudica insignificanti e che invece sono assolutamente importanti se il registro è quello delle trasformazioni del territorio e delle dinamiche sociali.
In conclusione un volume denso, corposo, puntiglioso che se dà fisionomia agli “uomini di lusso” che nel tempo hanno determinato l’assetto politico sociale ed economico di Balestrate ha saputo dare voce anche ai “senza potere”. Una stretta trama narrativa che per completezza profondità lungimiranza critica sembra quasi tradurre una volontà risarcitoria: da parte dello storico Lo Piccolo nei confronti degli abitanti di Balestrate, forse “nati” ufficialmente tardi ma che grazie a lui e alla sua ricerca, (davvero lunga una vita) possono finalmente attestare la loro longeva dignità culturale.
Palermo 9 maggio 2016

Annamaria Amitrano

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