giovedì 21 settembre 2017

Giusi Lombardo, "Maredentro" (Ed. Thule)

di Giuseppe La Russa

Una poesia costruita nel tempo e dal tempo, che ne annoda i fili infiniti, che ha la sostanza del passato e fa da cerniera verso il futuro, che profuma di eterno ma si contamina di carnalità quotidiana. La silloge Maredentro di Giusi Lombardo, edita da Thule con prefazione di Giuseppe Bagnasco, lascia questa forte impronta al lettore, un desiderio di infinito, un singulto di eterno.
Già l’immagine del mare, nel titolo e in copertina nel disegno di Gino Frattini, offre l’immagine dello smisurato e della vastità insiti nell’intera raccolta: è questa aspirazione verso una dimensione spirituale totale la spinta continua che permea l’intera antologia di Giusi Lombardo, ma ad una analisi attenta il libro ci offre altri spunti interessanti.
Le note che attraversano l’intera raccolta sono quasi essenzialmente di natura cromatica e, come proprio Giuseppe Bagnasco mette in luce nella sua introduzione, esse giocano sulla diatriba luce/buio, che poi altro non sono che l’attualizzazione visiva della dialettica speranza/disperazione; i testi della raccolta, che appaiono come una accorata confessione, uno struggente grido di umanità e all’umanità, sono l’epifania e la manifestazione, agli occhi dell’autrice, dell’evoluzione perpetua delle cose, del cosmo: e se la deriva più ovvia e naturale potrebbe essere la malinconia (Malinconia è proprio il titolo di una delle poesie), la «commozione di quel che non c’è più», l’intero volume mostra la ricerca e la maturazione di un senso, la lucida consapevolezza che il trascorrere del tempo è un dato incontrovertibile ed è proprio in quello spazio che l’uomo può e deve inserire la propria forza creatrice e poietica, nel segno della luce e della speranza; luce e speranza, si diceva, temi che vengono donati agli occhi del lettore attraverso vistose pennellate cromatiche e mediante il frequente ricorso all’alba, quel momento della giornata in cui tutto è ancora da inventare, da scoprire, da fare: «Poco m’importa se c’è molto da fare,/ se dovrò lottare ancor con menti chiuse,/ ad ogni alba inizia una nuova vita/ e potrò ricominciare a sperare//».
Solo in questa consapevolezza e grazie a questa maturata coscienza, l’autrice può far propria una verità forte ed indissolubile che potremmo riassumere attraverso una massima di Henri Bergson: «Il mio stato d’animo si riempie di continuo della durata che raccoglie». È questa nuova rivelazione che permette all’uomo di cogliere il tempo, oltre che di viverlo, di raccogliere e generare nuova vita dalla più trita quotidianità, di vedere l’eterno nell’attimo, di nascere continuamente in un perpetuo e limpido soffio vitale: «E in un glorioso momento/ un soffio vitale risorge, vola,/ si ferma nel tempo// di un lieve momento/ che sa di eternità//».
Impossibile nascondere le proprie ferite, del corpo e dello spirito, perché anch’esse rendono un uomo ciò che è, perché anch’esse sono vita, ma anche con esse – e grazie ad esse – si può continuare a Vivere ancora, vivere in ogni fruscio, in agno alito di vento, in ogni frammento, perché «Eterno è il tempo/ che mi trasforma e mi evolve/ attimo dopo attimo…//»


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