venerdì 27 ottobre 2017

Maria Favarò, "Visione tra le ombre" (Ed. Thule)

di Ciro Spataro

Leggendo la raccolta “ VISIONE TRA LE OMBRE” di Maria Favarò ho subito compreso che per lei la poesia non è solo astrazione artistica, non è un momento passivo dell’esistenza, ma uno scavo psicologico, una ricerca continua in cui vediamo, poesia dopo poesia, come ogni parola è concreta ed al tempo stesso rivelatrice del pathos e della solitudine dell’io della poetessa. Maria Favarò si muove sicuramente sulle orme del filone della poesia postmontaliana e man mano che mi immergevo nel libro non ho potuto fare a meno di pensare alla lirica di Eugenio Montale “ Portami il girasole ch’io lo trapianti” e soprattutto i versi: “ tendono alla chiarità le cose oscure, si esauriscono i corpi in un fluire di tinte; queste in musiche. Svanire è dunque la ventura delle venture “. ( tratta da Ossi di Seppia).
L’originalità della raccolta di Maria Favarò sta proprio nel linguaggio asciutto, sintetico che mira all’essenziale. Quello che preme alla poetessa non è tanto l’effetto da raggiungere quanto la pregnanza di un significato per dire quel che ha dentro e comunicarlo, per manifestare uno stato d’animo certamente sofferto. Eppure c’è da ritenere, come dice Agostino d’Ippona, che la verità è dentro di noi, in interiore homine abitat veritas. È una poesia scevra di orpelli in cui conta soltanto l’essere e non l’apparire, basti pensare alla lirica” Diva” dove la prima donna ha soltanto la voglia di primeggiare, non comprende la vanità delle cose e la precarietà dell’esistenza: “la luce si affievolisce nella morte incombente, pallido sole, visione tra le ombre”.
Alla base di questa poesia c’è un vissuto di notevoli traumi a livello interiore in cui “ solitudini s’ infrangono”. Ma attenzione lo stesso pessimismo ha una caratura culturale e la lirica ” Lacrima” ne è un esempio meraviglioso: “ Impregnata dei tuoi umori scivoli, calda, salmastra sulle rughe della pelle. Cauterizzi nel dolore, segnando nel tempo, questo attimo già passato”.
Solo nel mare del silenzio si può sentire viva la verità che è in noi,  la Favarò lo afferma in modo deciso, e proprio nel silenzio ci si accorge del valore dell’amore come categoria essenziale della vita: “ Lascia che Eros ti riporti nel tuo ventre ad amore tornando”.
Nella lirica “Risurrezione” l’autrice vede consumare piano piano l’esistenza, ma invita a non autocommiserarsi, “in questo mio tramonto non piangere, lascio la vita nelle tue mani nell’attimo del suo fiorire”.
Appare evidente dalla raccolta come Maria Favarò nella sua poetica, senta l’antinomia vita morte e la fa sua sviluppandola in maniera davvero originale, perfettamente consapevole che “ inesorabile il tempo segna le strade”  ed è proprio per questa amara dimensione del tempo che Maria Favarò nella poesia “Identità” con versi bellissimi afferma come “ Vivendo sto già morendo”.
Il  lettore scorrendo il libro rimane colpito dalle liriche della Favarò, vive gli stati d’animo della poestessa che quasi disperatamente cerca una via che appaghi il suo essere e la sua umanità.
La conclusione è che bisogna aggrapparsi con forza alle illusioni perché ci aiutano sicuramente a vivere anche se spesso si corre il rischio che si trasformino in disillusioni, ma vale la pena di provare.
Diceva il grande scrittore americano Mark Twain: “ Non separarti dalle illusioni quando se ne saranno andate può darsi che tu ci sia ancora, ma avrai cessato di vivere”. Personalmente sono convinto che le piccole grandi illusioni ci fanno veramente vivere, sperare fino alla fine soprattutto quelle che ci fanno sognare ad occhi aperti tutti i giorni. Proprio come affermava Gaston Bachelard nella poetica della “reverie” . Il poeta è un sognatore di particolare sensibilità che crea giorno per giorno ad occhi aperti in quanto questa capacità immaginativa della “ reverie” anima il nostro futuro.

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