mercoledì 13 dicembre 2017

Pubblichiamo l'intervento in occasione della presentazione del libro di Leonarda Brancato "Il corpo, i segni, le parole" (Ed. Thule)

di Vito Anzelmo

Quando Nanda Brancato citofonò erano da poco passate le 14,30 due fumanti piatti di pasta col broccolo arriminatu erano appena arrivati sul tavolo. Scesi al portoncino, la invitai a salire ma mi disse che era cosa breve e ci fermammo sulla soglia.
Mi chiese se volessi dire due parole alla presentazione di un suo libro...
Le dissi subito di si.
E comunque pensavo che avesse scritto qualcosa sulla nostra interessante biblioteca che ormai da molti anni è sotto la sua cura.
E invece. Invece mi sono ritrovato tra le mani un titolo bellissimo, ac­cattivante, una copertina firmata da Enzo Puleo, un artista che conosco da tempo e che ho sempre apprezzato. Si, i titoli non sono importanti solo per i romanzi. Sono belli quando a prima vista intrigano ma, anche, come in questo caso, quando riescono a sintetizzare i contenuti delle pagine che ancora non abbiamo letto.
Così anche la scelta di quegli arcaici caratteri sicuramente gioca ruolo non secondario nel catturare l’attenzione del lettore.
Insomma il discorsetto andò per le lunghe perché la cosa mi incuriosiva.
Anche non calda la pasta col broccolo arriminatu si può mangiare.
E il pomeriggio passò a leggere tutto d’un fiato il libro di Nanda.
Se IL CORPO è il corpo in tutta la sua materialità, I SEGNI e LE PA­ROLE attengono istintivamente all’ANIMA che il titolo sembra assoluta­mente ignorare e invece mostra nuda; più nuda di quanto è quel corpo sta­tuario delineato nel misterioso tratto azzurro da Enzo Puleo.
E se LE PAROLE e I SEGNI sono tracce indiziarie di quel CORPO che ne oltrepassano il tempo e la fragilità la MANO dell’Homo dalla notte dei tempi è lo strumento che trasmette. Trasmette poteri, autorità, scatena ardente l’energia. E’ una mano virile, non necessariamente maschile, una mano che ha vissuto, che ha sperimentato intensamente gioie e dolori, esperienze di una lunga vita, una MANO che ha raccolto e che ha dato.
Mi ricorda le mani di Madre Teresa nonostante, a contenuti conosciuti da una prima sommaria lettura, possa sembrare un accostamento non del tutto ortodosso.
Evidentemente ancorché ‘u scantu quand’ero piccolo l’ho fatto più di una volta e ricordo i nomi da zzà Ciridda e da zzà Maruzza e perfino le loro abitazioni c’u a menza porta; e me nanna Catarina chi mi ci purtava, tempu di mmernu, tinennumi sutta u sciallu... (immagini che riaffiorano tutto ad un tratto dai profondi meandri della memoria), sull’argomento sono perfetta­mente asciuttu: un ossu.
Ho accettato l’invito non solo a titolo di cortesia, sicuramente dovuta, quanto perché dopo una più che trentennale frequentazione di archivi, di ore passate ad ascoltare storie, morto Ciccio Brancato, malgrado tutto almeno per età, sono il veterano degli studiosi ciminnesi. Questo mi autorizza a dire due cose. Ciminna è un paese antico (e questo mi fa piacere sentirmelo dire dagli amici di Baucina e di Ventimiglia, di Bolognetta e Villafrati o dai Campofilicesi e dai Menzujsara), nonostante moltissime perdite, conserva un patrimonio archivistico di eccezionale valore storico, una fonte inesauribile di notizie. Ci si può cavare di tutto, dalla storia sociale all’economia, dalla toponomastica alla scrittura di biografie (quanti illustri ciminnesi emergono dalle carte e bisognerebbe dar loro merito e tramandarne memoria). Sicuramente merito al dottor Graziano ed al Meli ma, come quest’ultimo diceva, pur riconoscendogliene non pochi, su quanto scritto e tramandatoci dall’illustre medico, bisogna ritornare.
Ciminna non è solo un forziere, un giacimento culturale.
A quelle casse ferrate, a quelle miniere Graziano ha tolto i sigilli, ha smantellato il cappellaccio, bisogna che siano esplorati; ed è forse venuto il momento.
La diffusa scolarizzazione ha dato possibilità a molti di acquisire saperi e professionalità, competenze scientifiche, emerse con promettenti risultati (e qui se volutamente non li menziono non significa escludere chi si dedica alla letteratura strictu sensu i Poeti i Romanzieri) penso quindi ad Agostina Passantino, Giuseppe Nigliaccio e Domenico Passantino, ad Andrea Masi e agli annunciati lavori di Liliana Ingraffia e Maria Urso, ai primi esiti editoriali di Rosario Alesi e Giovanni Sapore, all’attività di Vito Mauro solo per citare alcuni nostri ciminniti che da meno di un decennio vanno facendo strada.
A questa eccellente e promettente compagnia si aggiunge Nanda Brancato che da Ciminna ha saputo cavare cose nuove anche guardando al Graziano, come tutti facciamo, inevitabilmente, occupandoci dei tanti aspetti della cultura ciminnita.
Intanto una cosa va detta, a parte il fatto che la capacità di sintesi oltre a testimoniare di una conoscenza profonda e sapientemente padroneggiata dell’argomento, esposto usando un’armamentario scientifico e metodologico di tutto rispetto, esita uno scritto che si lascia leggere anche da chi come me è del tutto lontano dai linguaggi propri della disciplina. Anche laddove -nelle due interviste- ci si aspetterebbe un’ampliata, un entrare morbosamente nel dettaglio, Nanda Brancato ci convince subito che questo libro non è un manuale per apprendisti stregoni quanto un frammento ragionato di storia contemporanea ciminnita, vera e viva, che si porta dietro secoli e secoli di tante storie e sicuramente quel pizzico di mistero che non guasta e che biso­gna rispettare.
Insomma io credo che sia venuto il momento non solo di scavare nell’immenso patrimonio culturale materiale ed immateriale ciminnese (e non penso sempre alle cose d’arte, ad esempio penso da tempo ad uno studio dettagliato, quasi puntuale, dell’interessante patrimonio geologico e pa­leontologico -non sempre studiato senza preconcetti culturali- che stimoli sopratutto i decisori pubblici a far si che ad es. la Riserva Naturale delle Serre non sia solo un “vincolo” ma una risorsa) ma, è venuto anche il tempo per chi amministra la res publica di sostenere e stimolare le capacità di tante nuove competenze, di utilizzare al meglio queste fresche risorse umane.
Non farlo inevitabilmente significa perdere un treno.
Il Graziano nel 1911 aveva affrontato un breve saggio di Demopsicologia ciminnese, poi nel 1935 in quel bellissimo Canti e leggende vi si era più estesamente confrontato. Per Ciminna si trattava di studi davvero pionieristici e, come nel Ciminna. Memorie e documenti, l’urgenza di non tralasciare, di tramandare, di conservare, per noi che saremmo venuti, materiali che paventava si fossero perduti, lo porta ad ampliare gli orizzonti dei suoi inte­ressi.
Per molti, Graziano ha già detto tutto.
Gli esiti editoriali di questi ultimi tempi dimostrano esattamente il con­trario! Dimostrano come «Nel campo della ricerca [...] non esistono opere definitive».
L’attento studio di Nanda Brancato, che accoglie quell’antico suggeri­mento del Meli a ritornare sulle cose del Graziano, dimostra esattamente questa necessità, e ne esce fuori un lavoro sicuramente di gran pregio, capace di fermare nel tempo e con estrema chiarezza, uno di quei tanti aspetti del nostro essere ciminniti.
«gnothi sautón» (conosci te stesso) era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, Nanda sicuramente in questo infinito percorso, ci da una mano, fa la sua parte, nel riconoscerci ciminniti.

Nessun commento:

Posta un commento